Visionario, surreale, potentissimo.

La Montagna Sacra (1973) di Alejandro Jodorowsky, è un film particolarissimo, quasi indescrivibile, ricco di simboli e significati nascosti, spesso indecifrabili.

Il regista cileno gioca con lo spettatore dall'inizio alla fine della pellicola, continuando a cambiare strada, guidato da associazioni mentali stralunate e oscure più del buio.

Archetipi di una mente contorta, religione deforme, misticismo acido.

Un Cristo fasullo che funge da stampo per cristi di cera, rospi che in teatri ambulanti interpretano i conquistadores all'assalto dei popoli dell'America centrale (anch'essi rospi), donne stuprate in pubblico, fucilazioni di massa, sangue colorato.

La gente sanguina fiori, frutti, piante.

Non c'è l'anima dentro di noi, ma ciò che siamo.

Il falso Cristo raggiunge il centro di una torre ed incontra un alchimista, che gli promette la vita eterna.

Trasformare la merda in oro, in tutti i sensi.

Siamo merda.

I padroni del nostro mondo provengono da altri pianeti, diffondo menzogne e distruzione.

Una fica meccanica deve raggiungere un orgasmo meccanico.

I figli della nazione devono imparare ad odiare sin da piccoli. E' con le armi giocattolo che si crea un esercito di bambini.

L'importante è apparire, mercanti di culi di plastica e facce finte da incollare sulle facce vere.

Il capo della polizia colleziona testicoli.

Tutto questo deve cambiare. Bisogna raggiungere la montagna sacra, trovare il vero io che ci unisca ad un io più grande, IO IO IO IO IO.

Per vivere in eterno bisogna sfidare i saggi che vivono nella montagna, apprendere i loro segreti. Hanno 40.000 anni.

Diventare la terra, i fiori, sentire il frastuono delle api, vedere con gli occhi di un cane.

Jodorowsky è un folle visionario e grazie a scenografie incredibili disegna un mondo di colori e simboli inimmaginabili.

Surrealismo al potere.

E alla fine dell'ascesa c'è solo un altro inganno. Più sconvolgente che mai.

Siamo solo immagini, ma questa volta non è un film.

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