La vita è articolata di momenti vivi e morti, capaci di segnare l'esistenza di tutti noi come una ferita impossibile da lenire completamente. Esperienze dure da sopportare, amare da masticare, ma allo stesso tempo delle lezioni di vita che servono ad ognuno di noi per crescere. E allora si capisce che sono queste le lezioni di vita che ti aiutano con il tempo, a raggiungere consapevolmente una certa maturità.

Per inciso, Donald Fagen, mente, voce e tastierista degli Steely Dan è uno dei tanti a tenere in mente questo concetto: l'uomo nasce, si sviluppa su tutti i fronti affrontando i pericoli che lo circondano, giunge alla maturità vera e propria, finchè, un giorno, si trova affrontare l'altra parte del suo io. Un concetto che sta alla base anche in questo "Kamakiriad", un concept album che si pone perfettamente al centro della trilogia, tra "The Nightfly" (nascita, anni '80) e "Morph The Cat" (il confronto con noi stessi, 2006), e con la produzione del fido amico Walter Becker.

Lo sviluppo, il progresso, uno sguardo verso il futuro. Sì, il futuro. Questo album è un viaggio nel tempo, dentro un'automobile speciale, si chiami pure Kamakiri ("Trans-Island Skyway"). La continuazione del volo iniziato proprio 11 anni fa, ma non più un Volo Notturno. Un volo verso il cielo, tra pianeti lontani ("Countermoon"), alberi fioriti di fronte ad un qualunque Lago della Nostalgia ("Springtime"), colline innevate ("Snowbound"), una mai troppo velata speranza di trovare prima o poi l'amore ("Tomorrow's Girls"), mentre si continua a fluttuare nel nulla, oltrepassando la Florida ("Florida Room") e addirittura il deserto ("On The Dunes"), per poi decidersi addirittura di fermarsi a prendere un tè da qualche parte del quartiere ("Teahouse On The Tracks"), e nello stesso tempo decidere se continuare o meno il viaggio verso l'ignoto.

Il suono funky-jazz-pop-rock è leggermente distaccato da quello di "The Nightfly", ma mai noioso. Effetti tastieristici che rimangono impressi nella testa senza annoiare (la stessa "Trans-Island Skyway"), delle trombe che fanno capolino qua e là ("Springtime", "Tomorrow's Girls"), fantomatiche influenze simil-blues ("Snowbound") e sassofoni che sanno essere trascinanti nella loro semplicità ("Florida Room").

Tutta quell'attesa di 11 anni, nel 1993, aveva riservato molte sorprese, fino a portare ad un risultato che aveva stupito sia in positivo che in negativo. Molti a parlare di ciofeca, pochi ad apprezzare il lavoro di Fagen come nell'82. Ma, in generale, quasi tutti dubbiosi sulle capacità presenti e future di questo. Nemmeno lui aveva capito del tutto il senso di questo album (si vocifera di una conferenza a cui abbia preso parte coprendosi il volto con un passamontagna e falsificandosi la voce dalla vergogna). Eppure il senso c'era, e c'è tuttora.

"Kamakiriad" è un album ingiustamente dimenticato, incompreso, da riascoltare e rivalutare. La stessa minestra di prima? Chi lo sa, e chi se ne frega. Se è fatta bene e non è insipida, ci può stare. Anche Springsteen forse è un po' uno che offre lo stesso rock che lo caratterizza, ma è capace comunque di sparare delle cartucce mica da poco.

Si sa, gli umani sono umani, e anche loro sbagliano. Ma l'arte è arte, quando lo è davvero. E questo disco è arte, non uno sbaglio. Non sarà incisivo come "The Nightfly", ma è pur sempre la prova che se un grande musicista non ha perso il suo carisma e la sua fantasia, è ancora capace di scrivere belle canzoni, come anche nel successivo "Morph The Cat".

Il viaggiatore è arrivato a destinazione. Missione compiuta, Kamakiri.

 

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