Riassunto delle puntate precedenti: Donovan passa dal folk acustico ancora acerbo di "What's Bin Did And What's Bin Hid" a quello più maturo e personale di "Fairytale", poi lo scatto decisivo: "Sunshine Superman", un album intriso di un alone quasi mistico ed antico, come dimostrano pezzi come "Ferris Wheel", "Three King Fishers", "Guinevre" e soprattutto la regale "Legend Of A Girl Child Linda", senza però trascurare un po' di pop rock vagamente a'la Kinks con la titletrack, psichedelia più spicciola e divertente con "The Trip" arrivando a lambire lidi hard rock con "Season Of The Witch". Insomma, una grande esplosione di creatività che non aspetta altro che essere incanalata su un preciso binario per essere riutilizzata in maniera ancora più efficiente ed unitaria: questo è quello che avviene con l'album successivo: "Mellow Yellow" del 1967, altro grande capolavoro per Donovan, altra magistrale dimostrazione di stile, forse la consacrazione definitiva per questo artista versatile, camaleontico; un geniale antidivo della musica, grande paroliere e grande plasmatore di melodie in egual misura.

"Mellow Yellow" è un invitante cocktail di pop, folk e psichedelia in parti uguali, con un po' di jazz, arrangiamenti sontuosi e raffinati, testi surreali, quasi dadaisti; è un disco ancora più sorprendente ed originale del suo predecessore, con una personalità più spiccata e, per così dire, più eccentrica; come dimostra la sua celebre titletrack, che è l'esempio più lampante delle innovazioni introdotte con questo album nel range stilistico di Donovan: una melodia  strafatta contaminata di atmosfere jazzy e accompagnata da un ritmo sbilenco, con un testo ambiguo che ben si sposa con un cantato sottile ed insinuante, stilemi che vengono ripresi anche nella sardonica "The Observation", scandita da una zoppicante linea di basso e contorniata da ottoni e pianoforti ed in forma più soft in "Bleak City Woman", in cui emerge un delizioso romanticismo sbarazzino da crooner sotto acido, sempre con quella formidabile vocetta sottile e lasciva ed infine nel pop psichedelico di "Museum", visionario ed ammiccante.

In "Mellow Yellow" non mancano episodi che si rifanno a sonorità più folk, come ad esempio l'acustica "House Of Jansch", che si allinea alla sottile ironia che caratterizza l'album, oppure "Writer In The Sun" che se ne distacca, evocando con la sua delicatezza ed i suoi morbidi e sognanti intermezzi di flauto atmosfere più distese e sognanti, ponendosi come un'avanguardia verso quello che sarà lo stile del successivo album, "A Gift From A Flower To A Garden". La maestosa "Hampstead Incident", accompagnata da orchestrazioni notturne e da un dolente carillon è il lato oscuro di "Legend Of A Girl Child Linda", di cui riprende le vestigia ma evoca paesaggi meno fiabeschi, più tormentati e crepuscolari, quasi gotici e va a comporre un magistrale ed irripetibile trio di "haunting ballads" insieme a "Sand And Foam" che per contrasto appare irradiata da una luce solare troppo intensa e distorcente, che trasforma il paesaggio messicano in un mondo parallelo e sconosciuto, pieno di suggestioni lisergiche ed alla catartica "Young Girl Blues", una canzone sorprendentemente scarna, accompagnata dai soli arpeggi della chitarra acustica; il cantato risuona lontano, echeggiante, straniante, ma in qualche modo partecipato, sofferente, non freddo, e disegna un decadente ed alienante ritratto femminile imprigionato in una gabbia di solitudine, depressione, desideri sessuali incompiuti; uno stile che sembra quasi anticipare quello di artisti come il primo David Bowie o Lou Reed.

"Mellow Yellow" è un album che, nonostante sia intriso di psichedelia, ha ben poco a che vedere con i colori e l'ottimismo del flower power che caratterizzeranno gli album successivi, in modo particolare "A Gift From A Flower To A Garden" e "Barabajagal", sotto il suo apparente sfavillio di armonie colorate nasconde un'anima a tratti quasi sarcastica ed a tratti tormentata ed introspettiva, se proprio vogliamo azzardare un paragone con il "rivale" Bob Dylan "Mellow Yellow" si può accostare a "Blonde On Blonde" per il ruolo che entrambi ricoprono nelle rispettive discografie; sono album visionari ed espressioni di piena maturità e massima ispirazione per i rispettivi artisti, ma tornando a Donovan non si può non notare come "Mellow Yellow", con il suo infinito flusso di immagini, allusioni, metafore, paesaggi più o meno irreali e le sue sonorità così perfettamente studiate ed armonicamente disposte sia un album straordinariamente intenso ed affascinante, un fascino esotico e mesmerizzante, che scaturisce da un'alchimia perfetta, tale da fare di questo disco la Pietra Filosofale di Philip Donovan Leitch, che continuerà a produrre grandi album ma mai avvicinabili come atmosfera e suggestione a questo e sempre ad una certa, più o meno grande ma comunque incolmabile distanza qualitativa.

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