Talvolta alcuni eventi, che in questo caso potremmo circoscrivere come "drammatici",  hanno il potere di regalare nuova linfa alla creatività, al pensiero, alle emozioni e consentono sovente di voltare pagina e di ricominciare da capo magari partendo dalle sicurezze di un passato non necessariamente troppo recente e mai del tutto accantonato nella soffitta delle memorie. Non è sempre facile risollevarsi e riprendere in mano il proprio destino, dopo aver toccato quasi il fondo di un'ispirazione apparentemente tumulata, se non si hanno delle solide basi e delle convinzioni radicate nella propria esperienza ed insite in un potenziale credo artistico innegabile.E quando tutto appare similmente un encefalogramma poco meno che piatto ecco lo scossone, la scintilla, la turbolenza che defibrilla le periferiche assopite dell'anima e crea una reazione positiva e rigenerante.

E' a tal proposito che non si possono ignorare le vicissitudini che in questo ultimo anno si sono alternate all'interno di una delle band più seguite, amate e discusse dell'intero panorama prog/metal mondiale. Una bandiera si è allontanata oppure è stata forzatamente ammainata: la dipartita del batterista Mike Portnoy, tra i fondatori e massima personalità dei Dream Theater, ha creato un turbinio di considerazioni, illazioni e preoccupazioni che ha diviso i fans in due fazioni distinte e contrapposte ed ha creato un vero e proprio terremoto nell'ambiente theateriano.

Ora, l'elemento inconfutabile è che questo "A Dramatic Turn Of Events" è il primo album che la band statunitense pubblica senza il buon Portnoy dietro piatti e percussioni, dopo ben 26 anni! Difficile ed inverosimile immaginarlo con una casacca diversa da quella del teatro dei sogni, pressoché destabilizzante non scorgerlo più nella formazione tipo, essendo ora stato necessariamente sostituito dal pur bravo ed esperto Mike Mangini (ex Extreme, Annihilator, Steve Vai...) dopo una serie documentata di audizioni.

Ma il caos, in fin dei conti, smuove sempre qualcosa... nel bene o nel male.

Non saranno solo i personaggi e gli interpreti ad essere giudicati bensì la produzione e l'arte che essi sapranno sprigionare e diffondere con le note e le emozioni che con esse si propongono di trasmettere.

L'undicesimo lavoro in studio dei Dream Theater è come un cielo terso dopo un lungo inverno dai contorni chiaro scuri, una luce profusa in fondo al tunnel della mediocrità e della recente produzione sovente anonima e distaccata.

"A Dramatic Turn Of Events" è di nuovo tecnicismo a servizio della melodia, è arrembaggio e surrealismo, meraviglia e dinamismo, riflessione ed abbandono. E' un viaggio a ritroso nel tempo con proiezione al presente ed al futuro prossimo. E' potenza e stupore, vivacità e trascendenza, malinconia e sentimento. Non vive di facili assimilazioni ma di un crescendo intensivo che traccia dopo traccia ed ascolto dopo ascolto proietta l'immaginario verso mete accoglienti e familiari.

Un art-work graficamente nuovo e discutibile nasconde una band ancora e sempre matura, sicura dei propri mezzi tecnici e compositivi che ha appreso come lo spettacolo debba ricominciare per scrollarsi così di dosso l'etichetta di gruppo potenzialmente giunto alle fauci del tramonto.

Sin dalle prime note di "On The Back Of Angels", brano che abbiamo assaporato in anteprima e dalla intro riecheggiante Pull Me Under, si scorge presto una presenza più massiccia e laboriosa delle tastiere orchestrali di Jordan Rudess, dai gusti pur sempre discutibili. Le linee vocali risultano un po' ambigue anche se bridge e ritornello regalano ariosità ed impatto all'intero brano. E' la seconda traccia "Build Me Up Break Me Down" ad essere quella più controversa e risultante un poco avulsa dall'intero e successivo divenire del lavoro. I richiami alle sonorità di "Static Impulse" ed "Elements Of Persuasion", ultime fatiche discografiche da solista di LaBrie, risultano piuttosto evidenti: elettronica prima e durante, voce filtrata e riff crudi primeggiano e fan da padrone a tutto il brano anche se la ventata d'aria fresca data dal ritornello regala qualche punto in più ad un pezzo che altrimenti risulterebbe piuttosto distaccato, nonostante in un full-lenght da 9 tracce può benissimo far discreta presenza. Sfumando attraverso cupe atmosfere e procedendo al galoppo, nel senso letterale del termine, ci si avvia verso "Lost Not Forgotten". "I'm not immortal, I'm just a man"....qui ha inizio una cavalcata di complesse e crescenti sensazioni che di brano in brano ci riproporrà i Dream Theater  tecnici e progressivi di un tempo, spensierati e coinvolgenti a tratti, sublimi ed orchestrali il più delle volte. Ora le dolci e trasognate note di un pianoforte, dalle sonorità gioviali e positive, scalzano solo per pochi istanti quel galoppare che si trasformerà presto in musica e potente aggressività dove il martellante incedere di tutti gli strumenti, caratterizzato da continui cambi di ritmo e da intermezzi  dal marchio inconfondibile, regala sonorità riconducibili ai primi istanti di Under A Glass Moon e al contesto più prettamente metallico e cupo di Train Of Thought.

Ampio respiro con "This Is The Life", traccia numero 4, che spezza il ritmo e regala una prima ballata in stile Wither dai toni deliziosi ed armonici, dalle linee vocali apprezzabili e coinvolgenti e con un Petrucci finalmente sensibile, sentimentale e mai eccessivo.

WUOOAAHHHRR....WUOOAAHHHRR....WUOOAAHHHRR.... un verso d'oltre confine (uno sciamano?) ed il seguente canto gregoriano aprono le porte alla prepotente "Bridges In The Sky": riff potenti, interludi ancora una volta accattivanti e mai velleitari dove chitarra e tastiera si rincorrono e si sfidano a duello, cori piacevolmente invasivi. Il tutto rende questo quinto brano aggressivo e fluido e per mano ci traghetta al culmine del lavoro, all'apice dell'espressività musicale che i Dream Theater hanno avuto l'accortezza di ritornare a regalare ai loro più accaniti sostenitori...

...ed "Outcry" ne è la prima prova: suggestiva, orchestrale, epica a tratti, folle nella parte strumentale, persuasiva nel cantato grazie ad un più ispirato e coinvolgente LaBrie che emoziona anche nel lento successivo, "Far From Heaven", dove in simbiosi con la delicatezza delle note di Rudess ancora una volta seduto fronte al pianoforte, interpreta emotività e paradisiache riflessioni da ricavare dal profondo delle note.

La presenza del basso di John Myung nei pezzi fino ad ora analizzati è finalmente propositiva ed influente rispetto alle ultime pubblicazioni e nel momento in cui uno dei brani inclusi in questo full-lenght è stato scritto dal silenzioso capellone dagli occhi a mandorla la curiosità dei più è cresciuta in maniera ancor più esponenziale. Il pezzo in questione è "Breaking All Illusions", penultima ammaliante traccia di un lavoro in divenire sempre più ispirato e coinvolgente. Trovare le parole per commentare un capolavoro compositivo del genere non è semplice: è When Dream And Day Unite, è Images & Words, è Scenes From A Memory... è maledettamente Dream Theater, è la risposta alle richieste del pubblico, è sangue che torna a scorrere nelle vene. Vivace e positiva, illuminante e sensibile, progressiva e caparbia...e quando Petrucci riscopre che anche dopo Lines In The Sand dalle corde della sua chitarra può ancora pretendere di toccare il cielo con una nota ecco che un brivido può giungere a stimolare i tasti più sensibili dell'anima e scopre la capacità che la musica ha di far sognare e di raggiungere quei livelli di alta emotività nascosti sotto la superficie. Così l'acustica "Beneath The Surface" abbraccia e coccola l'ascoltatore trascinandolo verso la conclusione di un album imperdibile e ben coltivato che viaggia tra salti di corsia e ballate avvolgenti come una coperta di lana in pieno inverno; un divenire che toglie il respiro e che richiede un altro ascolto e poi un altro ancora.

Finalmente, punto esclamativo.

Ogni uscita dei Dream Theater riveste oramai da anni i connotati di un'attesa estenuante e speranzosa che specie nell'era Roadrunner, ma ancor prima dal post-Six Degrees Of Inner Turbolence, si è amplificata per un susseguirsi piuttosto deludente ed esasperato di pubblicazioni districate tra album studio(poco originali e talvolta derivati), live ed addirittura un inutile "the best of"... ma il richiamo dei progster statunitensi è sempre alto e questa volta i ragazzi hanno fatto centro.

"A Dramatic Turn Of Event" non sarà un capolavoro, non conterrà nulla di innovativo ma il songwriting è degno di nobili traguardi e le sonorità tremendamente cariche e dissetanti. Le ballate sono sentite e toccanti e le tracce con più minutaggio risultano progressive e tenaci, pur avendo come comune denominatore una parte centrale del tutto strumentale che nell'architettura le rende alquanto similari.

Il discorso rimane così aperto: i Dream Theater han voluto dare un segnale forte e deciso ai fans che tanto li amano quanto son pronti a criticarli. Han voluto puntualizzare che, con o senza Portnoy, sono ancora una delle realtà più affascinanti del globo, che sanno incuriosire e coinvolgere ancora e che la parola fine è stata usata prematuramente nei loro confronti.

Petrucci è di nuovo ispirato, Myung presente e vivo. Rudess risulta anche fin troppo sperimentale sul sound, ma quando mette mano al pianoforte unisce e mette d'accordo tutti . La novità Mike Mangini è altresì all'altezza del difficile compito assegnatogli, anche se in tutta onestà in certi scorci non ha il tiro del suo predecessore. LaBrie potrebbe e dovrebbe dare di più ma forse ha smarrito nelle corde certe tonalità... gli anni passano, vero,  ma il suo timbro resta comunque invalicabile ed imprescindibile.

La gioia di godere di un lavoro di questo livello invita ad accantonare eventuali critiche e nascondere sottili e vaghe perplessità, almeno nell'immediato.

Perchè nel momento in cui le note arrivano a regalare sensazioni forti e profonde, anche se e solo per pochi istanti, significa che la freccia scoccata ha centrato il bersaglio.

Non si farà memoria dei gossip e dei malcapitati eventi, non interessano...

...dopo qualche restauro riapre il teatro: levate il sipario... vanno in scena musica ed emozioni.

E questo è quel che realmente resterà.

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