È inutile dirlo, ma tutte le band, arrivate ad un certo punto della loro carriera arrivano a commercializzarsi. Ed è altrettanto inutile dire che ciò succede anche ai mitici Dream Theater. Succede con "Falling Into Infinity", il loro quarto album in studio, edito nel 1997.
Un album che ha lasciato l'amaro in bocca a molti fan. In tanti, nel momento in cui si trovavano al negozio a comprare il disco, si aspettavano un altro capolavoro alla pari di "Images And Words" e "Awake" ma sono poi rimasti delusi quando poi lo hanno inserito nel lettore cd.
In precedenza i DT ci avevano deliziato con complessi riff, complicate strutture e fulminei cambi di stile e velocità. Quest'album è abbastanza diverso: l'album presenta infatti un sound meno aggressivo e soprattutto strutture più semplici e orecchiabili. I brani sembrano rispettare maggiormente rispettare la forma canzone strofa-ritornello-bridge e viene un po' meno l'estro dei musicisti, ma vi sono comunque brani più complessi in cui emergono le loro capacità di sempre... Forse un tentativo di conquistare il grande pubblico? No! Se credete che questo tentativo di commercializzazione sia di loro ispirazione vi sbagliate di grosso; la loro intenzione era quella di realizzare un altro album alla loro maniera... ma ecco che la casa discografica costringe i cinque a modificare alcune canzoni e a cacciarne via altre.
Ma devo dire che questo è comunque un bell'album e anche se non è ai livelli dei due predecessori ha comunque tutto il diritto e il merito di far parte della discografia dei Dream.
Molto sperimentale e innovativa la n° 1 "New Millennium": sonorità quasi orientali, ottimi giri con le tastiere, che prevalgono sulla chitarra, ottimo ritmo, scandito dal chapman stick di John Myung, suo nuovo acquisto, e anche una buona dose di virtuosismo. Brano in cui prevale la melodia
"You Not Me" (You Or Me all'origine) è un brano decisamente pop-rock caratterizzato da un'ottima chitarra ritmica di Petrucci e una buona linea melodica delle tastiere di Derek Sherinian (unico album con i Dream questo), nonché del basso di Myung nelle strofe.
"Peruvian Skies" è invece una canzone dai due volti: calma, psichedelica e pinkfloydiana nei primi minuti, aggressiva in stile Metallica nella seconda metà. E pensare che a sentirla all'inizio molti credevano di trovarsi di fronte ad una ballad.
E proprio quella ballad la ritrovano alla traccia n° 4 con "Hollow Years": canzone dolce e accarezzante, per i più romantici insomma; una chitarra acustica che sentita oggi fa subito pensare a Gigi D'Alessio; se amate Gigi questa canzone dovete sentirla.
Più scatenata la n° 5 "Burning My Soul" canzone anch'essa dalla struttura abbastanza elementare e orecchiabile. Da apprezzare in questo brano sono l'intro ben fatturata con basso e tastiera e proprio un solo di tastiera dopo il secondo ritornello.
Capolavoro assoluto è la strumentale "Hell's Kitchen": chitarre sognanti e una buona dose di virtuosismo segnata da ottimi assoli di chitarra e da un bell'unisono chitarra-tastiera prima del finale.
E dallo svanire di "Hell's Kitchen" nasce "Lines In The Sand" una delle perle dell'album, brano che i detrattori non potranno sicuramente disprezzare. 12 minuti, splendida intro eseguita con le tastiere, primi cinque minuti scatenati, poi altri quattro minuti lenti e psichedelici con lungo e splendido solo di chitarra di Petrucci poi di nuovo scatenata dopo i 9 minuti in cui basso e tastiera duettano alla perfezione prima della schitarrata finale. Perla davvero.
Ed ecco un'altra ballad, la triste "Take Away My Pain", dedicata al padre scomparso di Petrucci, al quale con "Another Day" avevano pregato di restare in vita (condoglianze ovviamente). Chitarre malinconiche e tastiere che creano un'atmosfera cupa. Petrucci tuttavia un assolo non se lo risparmia.
E scateniamoci subito con "Just Let Me Breathe", caratterizzata da chitarre frenetiche, ritmo funky, e ottimi riff di tastiere nella parte strumentali.
Ed è subito il momento di allietarsi con un'altra ballata, "Anna Lee" sorretta da un piano che sembra ispirato da Elton John.
Ma ecco che siamo pronti a chiudere con quello che è il vero fiore all'occhiello di questo contestatissimo album, "Trial Of Tears": 13 minuti per un brano sperimentale, sognante e poco aggressivo; inizio atmosferico quasi in stile fantasy con tastiere super-ispirate, percussioni molto efficienti e belle melodie di Petrucci; si entra poi in una parte più ritmica caratterizzata dall'ottima linea di basso creata da Myung ma sempre da un'impeccabile sensibilità melodica; e si passa poi ad una delle parti strumentali più belle mai realizzate dai Dream Theater: assolo di Petrucci bello per tecnica e melodia e subito dopo splendido solo di Sherinian alle tastiere; per finire, riff con la chitarra acustica che prepara al finale, un po' più forte e ritmato rispetto al resto del brano; il brano si conclude poi più o meno com'era iniziato.
Dai, poi così tanto male questo disco non è; se non vi piace vuol dire che siete troppo tradizionalisti e poco aperti alle innovazioni. Spero che questa recensione costituisca un invito a rivalutare quest'album.
Carico i commenti... con calma