Reduci dal precedente lavoro del 1986 edito dall’etichetta romana Viva Records (che ha avuto il merito di farci conoscere tutta quella misconosciuta scena della trance californiana degli anni ’80, inizio ’90) i losangelesiani Drowning Pool bissano il già eccellente esordio andando oltre. Uscito nel 1987 per la loro etichetta, la Scarface Charley, il “Green Album“ ci porta in luoghi oscuri e impervi, la percezione cambia necessariamente in questi labirinti sonori che scatenano atavici interrogativi e paure primordiali. Il canto metafonico di Andrew Crane e gli onirici intrecci musicali fluttuano in una zona d’interferenza tra un mondo terreno e il mondo reale dell’invisibile, ed ecco la scala a chiocciola della copertina come ponte per il passaggio in un fluido che ha i suoi prodromi amniotici da quel Ritual Regeneration/Toy Soldiers del “Bloody Boy LP“. Qui si fa di più, si abbandona definitivamente ogni parvenza materiale ed entrano in gioco componenti sottili; questa peculiarità viene poi confermata indirettamente dal chitarrista Adam Elesh dove dice che questi brani “non sono mai stati pensati come canzoni ma come una ben definita atmosfera in mente, piuttosto che come semplici melodie accattivanti“. La fisica da anni ha dimostrato che il 95% delle cose che esistono non sono visibili, noi percepiamo il solo 5% di quello che realmente esiste, fatto sta che per un gioco di compenetrazione in noi convivono energie sconosciute e non attivate e ecco che il disco affronta questa problematica dell’udire l’invisibile. Accelerazione e decelerazione delle sonorità addatano la realtà atemporale adattandola al normale fluire del tempo per creare una coesione superiore, attraverso codici nuovi, e inviare un segnale sperando in qualcuno che lo capti. L’entità interpellata dall’aldilà può materializzare dal nulla oggetti che richiamano alla sua vita passata, in guisa di ciò anche questo disco possiamo considerarlo un apporto che dimostra una possibilità di dare luce all’oscurità.

“Undeniably viewed it your paradise found never will last.” dall’ultimo pezzo, basta.

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