Duel Live @ Circolo Libero Pensiero 15.10.2016

La mia città è notoriamente refrattaria ai concerti.

Succede che per qualche congiunzione astrale fortuita, settimana scorsa suonassero due gruppi, l’uno olandese e l’altro texano di Austin. E ripeto questo è un evento rarissimo qui, dove neanche più gli zampognari osano vagare con le loro cornamuse sotto il periodo di Natale, alla ricerca di un obolo. Succede ciclicamente che in questo periodo i miei orientamenti musicali pendano verso sonorità pesanti, rocciose, desertiche, stonate e psichedeliche in grado di allietare e portare gaia spensieratezza ai miei padiglioni auricolari.

Succede quasi involontariamente che ieri, fermo al semaforo, e con la musica dei Duel in heavy rotation sullo stereo della mia quattro porte, mi venga voglia di ricordare quel concerto della settimana prima con delle parole.

Arrivo al locale con un anticipo mostruoso sull’inizio del concerto come se dovessi trovarmi con qualcuno a cacciare balle . In realtà sono arrivato in anticipo perché è da tempo che non vado ad un concerto e l’idea di avercelo praticamente nel soggiorno di casa mi entusiasma e voglio godermi anche il momento dell’attesa.

Inganno il tempo con una sambuca con ghiaccio (si per me ci vuole il ghiaccio con la sambuca, che pensandoci bene non bevo dal duemila credo..) accompagnata da una sigaretta sui gradini del locale, in compagnia di ragazzi che potrebbero essere miei figli, o più propriamente nipoti. La sigaretta, per un ex fumatore come me, fa da effetto detonatore, e per cinque minuti mi pare di aver fumato qualcosa di diverso che un semplice sigarro.

Il locale, una ex discoteca di provincia, è piccolo e durante la settimana è adibito a qualsiasi tipo di manifestazione musicale a livello locale dal corso di mazurca del martedì, al tango argentino del venerdì.

Al centro della sala campeggia una magnifica luce stroboscopica, un tempo oggetto indispensabile nelle discoteche, oggi relegata ad effimero oggetto datato ed appeso al soffitto, la cui vista mi rimanda alla memoria l’immagine di Maurizio Sejmandi e della sua - tremenda ahimè - Superclassifica Show. Strani scherzi fa la memoria, mi è venuto in mente Maurizio Sejimandi.

Ai lati specchi e qualche tavolino qua e là. Qui il tempo si è fermato al 1984.

Il quartetto che apre il concerto, tali Komatsu da Eindhoven suona uno stoneraccio a dire il vero un po’ monotono e monocorde; la prima canzone richiama la seconda e da lì fino all’ultima in un miscuglio sonoro tutto sommato accettabile ma un po’ palloso alla lunga. La cosa che ricordo di più è il cappellino del bassista con il logo dei Karma to burn. Ecco mettiamola così: potrebbero essere dei Karma to burn in minore e, guarda caso, che come gli zii danno il meglio nelle canzoni prettamente strumentali, quelle che più ho gradito.

Il pubblico scarseggia, ma come già accennato sopra la mia città non ama i concerti; anzi li evita calorosamente, soprattutto quelli Rock.

Cambio palco: giù chitarre, basso e via con i Duel provenienti da Austin, all’attivo con due membri aventi un passato negli Scorpion Child, mi dicono, che a dire il vero non conosco. Già a prima vista sembrano un gruppo più solido e più navigato del precedente. Cantante chitarrista tale Tom Frank, tarchiato e con una capigliatura negrissima da fare invidia ai componenti dell’Harlem Globtrotter ed addobbato da vero yankee con jaens che gli fasciano le cosce, stivaloni texani e cinturone con fibbia IueEssEi. Il chitarrista alla sua destra è un capellone molto freak ed hard rock nei suo pantaloni scampanati e più giù ai piedi, stivaloni neri consunti in punta ai piedi. Il batterista, un uomo di 40 chili magro impiccato e tutto nervi è in black dark look e sembra uscito da un disco dei Ramones -così vestito con taglie XXS - dediti al culto dei Bauhaus; sul retro della maglietta senza maniche campeggia una scritta tipo “Southern rock free” od una minchiata del genere. Scopro dopo che è tale JD Shadowz già nei Ripper, oscura band di horror metal attiva dalla metà degli anni ottanta. Il bassista invece ha un porro sul viso, e mi ricorda Lemmy dei Motrohead, proprio così come la voce del cantante che rugosa, dopo un’intro strumentale di ottimo auspicio e ad alto tasso psichedelico, apre con Fear of the dead, l’opening track del loro esordio discografico dal sapore hard rock debitore dei suoni metal dei Seventies. In Feel to the Earth mi ricordano i primi rocciosi Kyuss, irresistibili sono gli assoli in Electricity, fino ad arrivare a Locked Outside dal sapore vagamente pinkfloidiano. Il concerto prosegue senza soste in un serratissimo hard rock intriso di whiskey e Bourbon con reminiscenze Sabbatiane e grinta da fare invidia ad un ventenne.

Il quartetto si muove bene sul palco, il cantante gioca con la chitarra e ci regala assoli regali, il batterista suda, si contorce ed abbozza delle smorfie facciali davvero interessanti; nessuno si risparmia in quest’ora abbondante di concerto ad alto contenuto hard rock, con virate stoner, spruzzate psichedeliche e riff granitici dal sapore metal.

Mi sono divertito, peccato che la città, per l’ennesima volta abbia preferito poltrire sotto le coperte.

Mi butto sul merchandising ed affini e da manibucate quale sono, incappo nell’ennesima T-shirt fighissima e raffigurante il logo della romana Heavy Psych Sound Records, che ha prodotto l’album e con le orecchie che fischiano imbraccio il mio scooter alla volta di casa mia. La prossima volta porterò una giacca vento, perché va bene essere rock, ma vestito con la sola felpa nera con il cappuccio all’una di notte in moto, mi fa rischiare di prendere una broncopolmonite.

Succede che qui dentro proprio oggi faccio 4.000 (quattromila!) giorni e volevo festeggiare con una recensione. Ci si rivede agli 8.000 .

E per fortuna che non volevo dilungarmi troppo.

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