editoriale di Mark76

Ruben Armand "Benny" Mardones potrebbe essere considerato dagli orecchianti di sinistra una mera "one-hit wonder" (al quadrato, come si vedrà). Figlio di un cileno "oberfuhrer" in sonno, veterano del Vietnam, alcolizzato e tossicodipendente a metà anni '80 (per questi problemi verrà cacciato dalla Polydor, stolidamente interessata al solo profitto, questa maledizione dei nostri tristi tempi), sopravvissuto non si sa come all'amico produttore Barry Mraz, a un certo punto diviene l'idolo di Syracuse, NY, dove risulta più popolare del tanto decantato Springsteen (autore, proprio mentre Benny si godeva le prime royalties di "Into the Night", del pleonastico "Nebraska").

Dopo una breve esperienza come frontman degli "Hurricanes" a fine anni '70, una serie di album culmina nel patinatissimo (a partire dalla copertina) omonimo LP, per tutti il "Blue Album" (su ciò rimandiamo alla nostra recensione, pubblicata qualche anno fa, con una qualche reazione, su questo stesso portale). Siamo nel 1989: ad un tempo apogeo ed ipogeo dello chic rock, e anno in cui escono, per dire, Bad English, Strangeways, Dare, Giant. "Into the Night", scritta (e pubblicata) nel 1980 con l'amico di vecchia data e AOR hero Robert Teppardo ("No Easy Way Out"), raggiunge il n. 20 di Billboard, quasi bissando il successo di nove anni prima (quando si era issata sino alla posizione n. 11). Il resto è storia: anzi, leggenda.

Cosa resta di Benny Mardones, nel contesto dell'attuale, esiziale panorama musicale? Anzitutto, la ferrea volontà di ripulire il soul dalle originarie cianfrusaglie vocali e strumentali degli afroamericani; una integrità artistica che ha fatto scuola e per cui Benny ha bevuto l'amaro calice sino alla feccia; soprattutto, il singulto, suo autentico "marchio di fabbrica": che è il melodramma dell'apex mentis in una contrazione operatica à la Orbison. Quell'Orbison stesso che, da crooner di gran mestiere senza complessi di inferiorità, Mardones ha degnamente omaggiato nel corso di un tributo al grandissimo singer statunitense (1990): https://www.youtube.com/watch?v=zA3tFmnTULQ.

Oltre che singer dalla potenza e dall'estensione impressionante, era un uomo buono: un vero uomo. Ricordiamolo così.

Now You're Close the Flame, Benny, Into the Night.

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editoriale di Mark76

Jimmy Wayne ”Jimi” Jamison (1951-2014)

In us we all have the power
But sometimes it's so hard to see
And instinct is stronger than reason
It's just human nature to me

I’ll be ready

Don’t you fear

Forever and always

I’m always here.

Nel giro degli ultimi 5 anni, i cultori del rock adulto hanno dovuto assistere impotenti alla scomparsa di B. Walker, F. Frederiksen, A. Fritsch, J. Jamison: dando prova di un realismo eroico di tratto jüngeriano, pure trasposto dalle “tempeste di acciaio” alle sofisticate atmosfere statunitensi da inoltrata nottata metropolitana. Altri luoghi, altri tempi, altre guerre. Dell’ultimo crooner menzionato, di diritto nella “top five” dei vocalist AOR, oggi ricorre il quarto anniversario (il dies natalis occorse il 1/9/2014); Jimi fu, tra l’altro, singer dei leggendari Survivor tra il 1984 ed il 1989 (oltre che tra il 2000 ed il 2006, e dal 2011 fino alla improvvisa, ed improvvida, dipartita verso le sfere celesti): epoca d’oro di uno stile metamusicale che ancor oggi molti rimpiangono, spesso rifugiandosi -- per scomposta ma umanamente comprensibile reazione -- in un intimismo solo eticamente provvidenziale.

Uomo verace del Mississippi, probo ma non succube della retorica abolizionista, Jimi non negava mai un autografo o una pacca sulla spalla agli innumerevoli fan: neppure all’ultimo dei garzoni da salotto postatomico. Avrebbe sorriso, riteniamo, anche all’orripilante Saviano, se avesse avuto la sventura di incontrarlo.

Chi, ci chiediamo retoricamente tra il trasognato e l’ossequioso, non ha almeno una volta versato una lacrima auscultando le sue maschie, preziose romanticherie in “The Search Is Over” (n. 4 USA; video patinatissimo eppure di sottile autenticità), “I Can’t Hold Back”, “Man Against the World” (splendida glossa filmica, ad omaggiare l’ingenuo titanismo a stelle e strisce), “Burning Heart” (n. 2 USA, nella colonna sonora di “Rocky III”: Stallone sostenne di aver alzato 40 kg più del solito, solo odendone in lontananza lo stentoreo refrain, che incredibilmente coincide con la strofa), “I’m Always Here” (tema del clamoroso, avveniristico per i tempi, “Baywatch”), “Desperate Dreams” (riff e dialogo chitarra-tastiere che sostiene ex nihilo ogni incontro galante degno di codesto nome), “Rebel Son”, “It’s the Singer Not the Song” (sorta di manifesto programmatico per teoreti dello chic rock), “Ever Since the World Began” (tema di “Sorvegliato Speciale” – rivoluzionario blockbuster di Stallone: perché col negro inflessibile ma misericorde --, che fece impazzire l’antico, ma già lobotomizzato sodale nipponico), o anche nella struggente “Across the Miles”: magari solcando la 101 tra la California e l’Oregon, terre di elezione dei commoventi “Goonies” e dell’epico, protofascistico “Mercoledì da Leoni”?

Con la morte di Jimi, crediamo, si pone un pregiato sigillo su tutto un universo simbolico – estetico prima che sonoro: etico-antropologico e poietico, dunque, prima che musicale -- ormai ermeticamente conchiuso. Con Gramm mezzo malaticcio, Perry blandamente tornato ai fasti del buon tempo antico, Free segretaria di banca gendericamente modificata e Mardones ridotto ad una larva (abita, si vocifera, una baracca tra i metalmeccanici della periferia della stolida Syracuse), ora qualcuno si dovrà pur prendere la briga – e con questa la responsabilità esiziale -- di fare la storia del rock adulto: sussumendo, in tal modo, il mistero della storia nella fuggevole diacronia di una epoché attraversata e risolta per iatum. Epperò, in ultima istanza e come già il valente Rocchi sostenne a suo tempo, la realtà non esiste. Essa è il languido sogno di un camaleontico, malevolo trickster, che alcuni si ostinano a scambiare per demiurgo (conferendole così una insussistente dignità ontologica): una sorta di riverbero immaginale, tutto formalmente concentrato negli anni ’80 (in specie, lo rammentiamo per chi non se ne sia ancora avveduto, tra il 1984 ed il 1987/1989), e materialmente nei vinili accatastati in mansarde, ripostigli, anfratti ubiqui e volatili.

Jamison riposa a Newport, Ms, prossimo ai luoghi natali. The search is over, Jimi.

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