Tizio, colui il quale da qualche mese sta tentando di sciogliere le mie orecchie proponendo loro generi musicali mai approfonditi, mi aveva detto “se vuoi andare al concerto del quale ti ho accennato ascoltati questo”. E io, da bravo e pavido bambino che non vuole rischiare di mandare a puttane il gelato promesso dopo la cena, per ben cinque giorni ho seguito il suo consiglio. Con “April”, questo il nome del cerchio di plastica, ci siamo conosciuti e non è stato difficile; giusto un paio di ore, per rompere il ghiaccio, e fin dalla prima sera abbiamo fatto prepotentemente all’amore alzando il volume fino ad un quarto della manopola. Eh sì, forse ce la siamo meritata pure l’incazzatura, fuori tempo, di un manico di scopa battuto con insistenza dalla zittella del piano di sopra. Amen, ci odiamo silenziosamente da tempo.
E così, sullo scomodissimo sedile posto nella lillipuzziana platea mezza vuota di un teatro sito nel nerissimo buco del culo di una valle montana mi sono sentito oggettivamente preparato a puntino per affrontare il concerto. In fin dei conti, stando a wikipedia, Elliott Murphy ha pubblicato solamente una trentina di album ed io e quel gran pezzo di “April” siamo ormai vecchissimi amanti che sanno come procrastinare ed allungare il reciproco piacere. Con l’età di Cristo in croce ancora da oltrepassare, sono tra i più giovincelli e me la gusto a scannerizzare quelli che potrebbero essere i miei genitori, intenti a masturbare il cellulare per autoscatti da postare su faccia libro manco fosse un concerto in uno stadio pieno di gente festante. La realtà è il cigolio di sedie abbisognanti di olio; rumore che rimbalza tra le mura scolorite. Non bisogna prestare attenzione per essere investiti dai discorsi dei vicini di posto, abitanti del pianeta Pavone, prodighi a snocciolare ad un tono di voce gratuito la loro onniscienza musicale. E mi scappa una risata perché anche se non sono adolescenti sono lo stesso tipo di persone, le stesse coloratissime code, che riempivano le bettole nelle quali assistevo ai primi concerti heavy metal.
Il concerto al quale ho assistito non sfiora le vette di “April” ma, cazzo, dodici caffè (il prezzo richiesto) Elliott Murphy e Olivier Durand se li sono proprio meritati. Riuscire scalfire noi, granitici e montanari blocchi di ghiaccio, facendoci pure alzare in piedi con due ore di ballate rock non è mica un’ impresa facile. E poco male se l’acustica non è stata perfetta. Il nonnetto ha scambiato con noi qualche frase in inglese e ci ha firmato un paio di dischi elargiti ad un prezzo onesto.
Uscito nel 1999 “April” dovrebbe essere il secondo live album ufficiale di Murphy e mi è scivolato con la facilità con la quale ci si disseta dopo una corsa. Ho proprio in mente una fotografia di quelle cazzo di ortensie alle quali, durante le vacanze dei miei, ho dovuto dare da bere nella torrida estate testé trascorsa. “Siete mica cammelli!”, gli ricordavo spesso ad alta voce; perché non avevo manco il tempo di svuotare un annaffiatoio che quelle radici avevano assorbito il tutto ed erano pronte a ricevere un’altra dose di accadueo. Solitamente se qualcosa piace d’acchito, al primo ascolto, è difficile che rimanga nel tempo. L’acqua, per quanto dissetante e buona nel mentre in cui ballonzola il pomo d’dada, non ha un sapore particolare e viene pisciata senza rimpianti in poche ore. “April” con l’ottima produzione del suono, capace di trovare il giusto equilibrio tra chitarre e voce, più che acqua si avvicina maggiormente ad un superalcolico che si sorseggia con tranquillità avendo cura di centellinare per procrastinare il gusto nella cavità orale. Ahhhh!
La scaletta è omogenea, scevra di riempitivi, con un paio di riusciti ed energici tributi esterni (“Gloria” e “Wild Horses”) ed un minutaggio compatto. La voce calda di Murphy si esprime al meglio nei semplici lenti le cui strofe, appoggiate a delicati arpeggi, scoppiettano come legna non completamente secca, gettata in una stufa. Fa un freddo puttana in questi giorni quassù e canzoni, con semplici testi, come “Hard Core”, “Rock Ballad”, “You Never Know You’re In For” e “Drive All Night” mi scaldano manco avessi una tazza fumante tra le mani. Ed è una bella sensazione che mi fa più volte spezzare la continuità dell’ascolto del lavoro nella sua interezza per fare un passo indietro, alzando leggermente il volume. Un sorriso storto rivolto lo regalo al piano di sopra.
Il live offre ripetutamente un immaginario occhio di bue alle dita di Olivier Durand nelle ritmate “Take Your Love Away”,“Party Girls & Broken Poets”, “Diamonds By the Yard” e, dopo avere visto questo musicista a non più di cinque metri, posso dire che la sua tecnica è notevole e, cosa più importante, non fine a sé stessa. Apice del disco “Sicily”: il lavoro delle due chitarre mi ha trasmesso all’istante il calore ed i colori di una terra arsa dal sole e spazzata dal vento. Sentitevela se avete occasione.
Senza tirare troppo per le lunghe un’analisi che si poggia su un chiodo arrugginito e malfermo “April” è un live album di qualità. Vi consiglio di ascoltarlo e, se non conoscete il cantante in questione, magari al prossimo concerto che farà in Italia verrete a vederlo suonare anche voi in un teatrino cigolante e sperduto.
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