Questa recensione non volevo farla, ma poi mi son deciso a farla più che altro per commemorare il grandissimo Greg Lake, fautore di uno dei più grandi capolavori della storia del progressive, universalmente riconosciuto da molti come il più importante (io sono uno di questi "molti", ma questo è un dato fuorchè irrilevante), ovvero "In The Court Of The Crimson King".
Dopo avermi deliziato con Trilogy, album molto sottovalutato se consideriamo che i massimi apprezzamenti se li becca Tarkus, in cui spiccano esperimenti sensazionali come "The Sheriff".
"Brain Salad Surgery" (almeno secondo me") è un discone, il migliore che gli ELP abbiano mai inciso nel loro "periodo d'oro".
Pronti, e si parte con "Jerusalem", 2 minuti e 54 in cui la leggiadra voce di Lake si lascia andare insieme alle possenti e imponenti tastiere del leggendario Keith Emerson, senza troppi dubbi uno dei più grandi tastieristi di tutti i tempi, se non il più grande sul lato tecnico...
"Toccata" è praticamente una "fuga" tastieristica di Emerson, rivisitazione di un pezzo classico, il 4° movimento del Concerto N°1 per pianoforte e orchestra del compositore argentino Alberto Ginasteraverso (composizione che devo ancora ahimè ascoltare): Keith raggiunge nuovi orizzonti incontaminati, dove la musica spesso fraseggia con il silenzio, nel quale dal nulla compaiono note di tastiera che drappeggiano l'album, percussioni semi-tribali che accompagnano l'ascoltatore in una nuova dimensione incontaminata.
"Still...You Turn Me On" è invece una ballata straordinaria di Lake, che placa le acque, attraverso un cantato leggiadro e rassicurante, condito da quella straordinaria chitarra sbavante di musica psichedelica, capace di confernirne una veste quasi drammatica.
"Benny The Bouncer" è invece un brano che io reputo quasi riempitivo, un momento di scazzo della band, nella quale Emerson si lascia andare ad un piacevole pezzo con l'honky tonk, un branetto che riesce ad stimolare l'ascoltatore a proseguire. Ma di certo non è eccezionale.
Il vero capolavoro del disco, nonchè della band, è senz'altro la mastodontica suite di 30 minuti di "Karn Evil Nine" (divisa in quattro parti).Nella prima parte, le tastiere di Emerson, dapprima possenti, poi fluide, architettano del costruzioni imponenti, incastrando gli eventi più drammatici della realtà in un grottesco spettacolo teatrale, nel quale Greg Lake, Carl Palmer e Keith Emerson fanno quel che vogliono e muovono gli eventi all'interno di questa realtà come vogliono loro.
"Welcome back to my friend to the show that never ends" sono parole profetiche, noi umani siamo incastrati in un eterno spettacolo teatrale, è tutta un'illusione.
A condire questa meraviglia è senz'altro quella meravigliosa chitarra che va spasso con Emerson, e che nella maggior parte dei casi riesce stranamente a commuovermi.
Un imponente finale conclude la prima metà di suite, con la teatralissima voce di Greg.
La terza parte della suite vede un eccellente momento solistico di Emerson in chiave jazz (almeno in partenza), con sperimentazioni ben più ardite.
I toni si placano, e Emerson si ritrova avvolto nel silenzio a suonare note decisamente timide, accompagnato dal basso graffiante di Greg Lake e percussioni tenui di Palmer.
L'ultima sessione di 9 minuti, attraverso le tastiere quasi battagliere di Emerson, conducono l'ascoltatore al grande finale di "Karn Evil Nine", una spiazzante visione del futuro dove i computer soggiogheranno l'uomo attuando (visione mia) la cosiddetta "brain salad surgery".
La voce di Lake prima imponente, poi rabbiosa, poi drammatica, e successivamente "robotizzata", delinea alla perfezione un mondo che sta per nascere sul serio negli ultimi anni. Il finale prevede un sintetizzatore "a cascata" che neutralizza ogni genere di umanità rimasta nell'uomo, ormai monopolizzato dall'invasione dei computer.
Quindi, "Brain Salad Surgery" è un capolavoro sfiorato, forse perchè continuerò a non apprezzare mai sul serio "Benny The Bouncer", ma amen, il resto sfiora la perfezione più volte.
"Brain Salad Surgery" è senza dubbio la loro opera più matura, più cervellotica, più grottesca, più teatrale e classicheggiante, un'opera dove riesce a percepire alla perfezione le influenze classicheggianti, jazz e teatrali di Emerson, le melodie efficacissime di Lake che attenuano l'ascolto, e le percussioni tentacolari di Palmer.
Il trio ha raggiunto il proprio apice, un disco che non verrà mai eguagliato da nessun disco in studio tra quelli prodotti successivamente, dato che "Works Volume 1 e 2" alternano pezzi carini a pezzi poco originali e "Love Beach" è una delle più grandi schifezze di sempre.
Con questo, Emerson e Lake, riposate in pace, e tu, Palmer, cerca di resistere più che puoi al braccio della morte, anche se è
inevitabile il tuo destino.
Nonostante non siate entrati sul serio nel mio cuore, grazie Emerson, Lake and Palmer.

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