Anch’io sono tra quelli che per parecchi anni ha detto: “Bravi. Anzi, bravissimi! Però cazzo che pesantezza! Ma era proprio necessario far durare una suite 29 minuti e 38 secondi?? Manco ci sta su una sola facciata, dai! Capisco che Emerson aveva un ego un tantinello smisurato, però qua stiamo esagerando…”

Poi per qualche cavolo di motivo, qualche tempo fa rimetto su il vinile. Qualcosa è cambiato in me, non in questo album.

Jerusalem” quasi mi commuove, perché il macabro fascino di un inno religioso si mescola alla perfezione con una voce come quella di Lake, calda, bianca eppure qui filtrata come attraverso dei circuiti analogici, esattamente come le percussioni epiche di Palmer e il Moog Apollo di Emerson. Tutto risuona come una epica e tragica speranza che spicca “among these dark satanic mills”.

Inquietante la “Toccata”, che da tipica rivisitazione in chiave prog di un pezzo classico si trasforma in un’incalzante cavalcata nel pazzesco mondo, che all’epoca stava facendo capolino, dell’elettronica, dei suoni demodé\amiga style, che nella loro oggettiva bruttezza elevano la musica e la rendono più potente, spiazzante. Funziona, cazzo!

La canzone successiva, quella che più mi era piaciuta in gioventù, mi suona quasi come un garbato ed etero riempitivo; ok, ma è roba con una classe che il 90% delle band odierne può solo sognare di poter comporre. Stranamente mi diverto un botto con “Benny The Bouncer”, che è davvero perfetta nel suo mix di cazzoneria, divertissement, classe strumentale (leggi: spazzole superlative di Palmer e synth sghembo e grottesco di Emerson) e il gustosissimo testo cantanto da uno sbronozone. Come ascoltarla la prima volta, un pezzone!

Brain Salad Surgery, nella sua vasta potenza, nella sua maniacale perfezione di rehearsing, è per certi versi un male necessario. E infatti “Karn Evil 9” è un’estenuante, briosa e funebre celebrazione della decadenza, dello spettacolo macabro, di una fantascienza malvagia che quasi prevede Blade Runner e Matrix e ci fa invidiare il cervello di Pete Sinfield per tutte le visioni drogate che è stato in grado di vivere e trasporre in testo.

Non sto lì a descrivervi né la struttura né i vari movimenti e nemmeno il testo, per quello ci sono le note di copertina o Wikipedia per i più pigri. Ma fate un attimo caso a cosa non sia il sistema binario composto da Emerson-Palmer: due buchi neri supermassicci che si scambiano ondate di energia assurde al ritmo precisissimo della radiazione cosmica di fondo del basso di Lake. Vero che ha composto tutto Emerson, che esaltatissimo si fa da solo i suoi botta e risposta Hammond-Synth, ma cosa sarebbe stato tutto quel bengodi senza una sezione ritmica che riusciva a stargli dietro e a dettare il passo alle sue fiammate egotico-virtuosistiche? Cos'è il mostruoso talento tastieristico senza la malata potenza lirica di un incubo biomeccanico?

Hans Reudi Giger rappresenta alla perfezione il freddo fascino anatomico di un disco che sembra la scarnificazione e successiva ricomposizione in laboratorio di un sentimento, di un essere vivente. E’ un po’ come la creazione di un androide (ginoide, in questo caso) inquietante e sensuale, di un ibrido etero tra classicismo, virtuosismo prog, futuro prossimo venturo che per noi è orami arrivato e passato.

Ma non c’è niente di vecchio in Brain Salad Surgery; la modernità dell’angoscia è sempre lì. La morte che fa paura solo alla carne, perché la macchina ne può fare a meno; il fascino morboso di un esame autoptico che scopre, sotto la perfezione della bellezza, la realtà dei circuiti, dei filtri, del sintetico.

Troppo? Forse sì; ma sento di avere (ancora) bisogno di queste emozioni. Sento che certe cose sono state fatte troppo bene, troppo amate per essere dimenticate solo perché è passato quasi mezzo secolo. Sento che quella che per loro era la macchina e per noi è il digitale, genera ancora fascino, sensualità & angoscia.

Sento che mi piace ricordare Lake, il suo modo di produrre e di creare; sento che mi piace ricordare l’amore di Emerson per la musica classica e per la sua stessa, inarrivabile bravura. Sento che Palmer fa tremare il cervello e l’anima con quella sua esplosiva creatività. Sento che questo disco, a dispetto di tutto, è in realtà leggero come un meraviglioso sudario in broccato di seta. E lo sarà ancora per, boh, tantissimo… Finché morte & macchina non ci separino.

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