Riscrivere la storia della musica elettronica. O perlomeno riprovare a tracciarla "ab ovo", per come avrebbe potuto essere. Alla prima fatica discografica Emilio Scalise, giovane e misconosciuto sintetista della scena sotterranea romana realizza un lavoro che con la scena elettronica contemporanea e con il concetto corrente che in quest'ambito ha assunto il termine "sperimentazione" ha poco a che vedere. Un lavoro che pure a suo modo riesce ad essere radicale, spiazzante, profondamente innovativo e insieme passatista, "tradizionale" se di tradizione si può parlare.

Un ascoltatore disattento confinerebbe facilmente questo disco nel limbo del nostalgico o del già sentito. Perché "A mezza voce" è un pò di tutto. O almeno tutto ciò che riposa dimenticato sotto trent'anni di polvere. C'è molto dei corrieri cosmici tedeschi, di musicisti (o non-musicisti) celebrati come i Tangerine Dream, i Kraftwerk, come Eno e Vangelis. Echi di ambient-music qua e là, coloriture sinfoniche dal sapore classico (con rispetto parlando), divagazioni facilmente enumerabili dallo stesso succitato ascoltatore dentro quel calderone di tutto e niente che passa sotto il nome di musica New Age. Eppure Emilio Scalise è molto altro. In potenza forse, quasi suggerito tra i solchi di tracce ancora acerbe, rudimentali, piuttosto grezze (per quanto anche questo sia ascrivibile ad una precisa dichiarazione di intenti). Come sussurrata, a mezza voce, come lasciata intendere e scaricata in questo modo all'ascoltatore (stavolta sì, quello attento), la rivoluzione c'è. Una rivoluzione che, nel suo essere anzitutto altra da quello che è la musica elettronica contemporanea, significa anzitutto reazione.

Una rivoluzione che ha toni sofferti, dolorosi e sommessi come sa esserlo, malgrado l'enorme sproporzione, una sinfonia di Mahler o un brano dal disco "Alpha Centauri", cioè attraverso un linguaggio poetico immutato e che si suppone immutabile. Un linguaggio che, scommette Scalise, ha ancora immense possibilità espressive, in grado di nobilitare fino ai più alti vertici artistici la forma compositiva che è la musica elettronica. Come si dice, basta l'intenzione. Perché in fondo "A mezza voce" è un lavoro che vuole essere poetico, e che solo in parte ci riesce. Ora coi toni dimessi, "rattrappiti" dei poeti crepuscolari, ora attraverso il veemente lirismo di un recitativo melodico da grand opèra, ora con le suggestioni visionarie, apocalittiche (pur sempre nella compostezza dimessa propria del linguaggio dell'autore) di tanta poesia moderna (Allen Ginsberg?). Le musiche di Scalise sono un continuo fluire di moduli, frequenze, sonorità liquide che si succedono senza ordine apparente, e si distinguono per la completa libertà tematica, e per l'assenza di soggetti o frasi riconoscibili. Componimenti semi-improvvisati di carattere prevalentemente libero, dove anche le dissonanze e la politonalità partecipano di quella poetica dell'indefinito, anche questa preziosa eredità della letteratura, che Scalise sembra prediligere: la distanza dalla musica elettronica contemporanea non potrebbe essere più palpabile. A contribuire "wagnerianamente" al senso di indefinitezza l'assenza di validi riferimenti armonici, melodici, ritmici (un continuo fluire senza tempo, senza tonalità che ricorda la "musica infinita" del maestro tedesco) e persino timbrici.

Il brano che apre l'album, "Creazione", è sicuramente la testimonianza più valida dei risultati artistici cui può arrivare questo "impasto" sonoro di stampo sinfonico per orchestra di vecchi sintetizzatori analogici, con un continuo dispiegarsi di periodi a metà strada tra suono e rumore, fino all'enunciazione di uno pseudo-tema di due soli accordi che defluisce poi verso una conclusione più meditabonda. Esperimento forse meno riuscito in "Illuminazione (alogena)", e in "Sic transit...", dove la musica si fa più eterea, immaginifica, nel rispetto più o meno osservante delle buone maniere dell'armonia. Missaggio approssimativo, bassa fedeltà. Ma anche questo è programmatico, chiaro. Decisamente più intimistici i brani "Speranza" o la statica "Campane a Novi Sad", bozzetto impressionistico per orecchie musicalmente insane, come anche la riuscita "Presagio di sventura", unico brano per strumenti convenzionali (nemmeno troppo) o il singolone da classifica "Sempre". A suggello "War", il momento più emozionante del disco, e pezzo più riuscito della pur breve carriera di Emilio Scalise, artista promettente, potenzialmente grande, ancora inafferrabile.

Aspettiamo un seguito, fiduciosi che il Nostro saprà chiarire i proprio intenti nella direzione che speriamo.

Carico i commenti... con calma