L’acquisto e la sfiancante lettura dell’ultimo romanzo di Enrico Brizzi è l’ennesima Μαλακίες vel bullshit vel inculata che ricevo dall’esimio autore bolognese.

Reitero l’errore in quanto ogni volta mi illudo di ritrovare almeno qualche scheggia del genio capace di cagare un capolavoro come Bastogne, nel lontanissimo 1996. Invece niente, lasciate ogni speranza…

Le veline editoriali mi spiegano quanto quest’opera sia imprescindibile come fantastica cavalcata tra i ricordi degli anni ’80 e primi ’90, con tanto di zaininvicta, cassettetidikappa, vespe e vespini e feste e festini e simili stronzate amarcord.

I servi che scrivono le recensioni prezzolate me lo propongono come romanzo di formazione, la narrazione della fatica di diventare adulti (sic!), ma io mi chiedo quanta fatica costi a lorsignori fare le puttane ad inchiostro (magari zero fatica, se bagascia ci nasci). Scrivono pure di robe come la tenerezza di scoprire il primo amore, con il nostro ragazzotto protagonista (Tommy Bandiera) che prova l’estasi di essere coinvolto nel …indovinate un po’…triaaangoloooo, pensa la novità, lei, lui e l’altro che ovviamente sarebbe il più o meno miglior amico del protagonista.

Epperò io non mi permetto di mettere in discussione l’originalità o meno della trama, sarò un fessacchiotto ma pure io ho imparato che non conta di cosa scrivi ma come lo scrivi.

Ma.

Ci vuol del coraggio ad affermare (come fanno i marchettari recensori da stampa nazionale) che il ragazzotto attraversi prodigiose avventure e torbide prove iniziatiche quando la trama per cinquecento pagine rimbalza come un pallone sgonfio tra cannette al parco, rissette con demenzialultras delle squadre avverse al Bologna Calcio e pugnette dietro alla componente femminile del succitato triangolo, tale Ester. Cannette, rissette, pugnette e poc’altro, giuro. Considerato che peraltro tale Ester potrebbe essere il personaggio più verosimile del terzetto, dato che ragazzotte con ambizioni carrieristiche e maschera da Beatrice dantesca, modi da sono stronza e ce l’ho di giada e non ci posso fare niente se tu sei ‘na merda al mio confronto in gioventù le abbiamo incontrate un po’ tutti.

Ma, lo ripeto, non metto in discussione l’originalità dei fatti, bensì la stanchezza basale con cui sono narrati.

Nel procedere nella lettura degli speudoaccadimenti nel libro, uno perlomeno spera che il protagonista cambi, che maturi un qualche tipo di conflitto interno, che porti ad un poco di movimento, di tensione. Invece niente, il nostro Tommy Bandiera rimane piatto come una cotoletta sotto il pestacarne del macellaio.

Io non amo i maestrucoli di scrittura creativa, ma condivido quello che qualcuno disse (probabilmente Carver ma non ne sono sicuro e qua importa una sega) a proposito dell’efficacia del racconto, che è come se facessi salire il protagonista sopra un albero, lo scuoti bene, e poi lo fai scendere e descrivi quali cambiamenti si sono prodotti nel tizio. Banalizzo, lo so, ma è un po’ il succo di ogni racconto di formazione. Il protagonista cresce, gli succedono delle cose e queste cose lo cambiano definitivamente. Peccato che in questo romanzo di cose interessanti ne capitino poche, se non siete appassionati di risse da stadio. E filtrano attraverso il protagonista senza lasciar traccia.

Sentenziando che una vera storia non esiste nel romanzo in questione, a mio modesto avviso la parte migliore è il “Libro primo”, quello dedicato agli anni dell’infanzia del protagonista, dal 1982 al 1987. Parte dove giustappunto il nostro esimio scrittore è esentato dall’inscenare una storia, bastandogli i ricordi alla libro Cuore (che ritengo un capolavoro) in ragout bolognese. Molto proustiano in questa parte, ci va giù pesante di madeleine, pur col piglio del grande scrittore. Un esempio?

Ecco qua l’innesco dell’iniziazione alla figa, promossa nientemeno che dal nonno nostalgico fascista.

Magalì, la nuova bonne africana, indossava un vestito giallo ricoperto di stampe geometriche e lungo fino ai piedi, della stessa stoffa con cui era realizzato il copricapo che le nascondeva i capelli raccolti in treccine. Nonno le parlò in francese, la ragazza sgranò gli occhi, e io provai un brivido lungo la schiena. La giovane argomentò con la malinconia nella voce, Nonno replicò in un tono che comprendeva persuasione ed imperio, e Magalì abbassò lo sguardo.

“Andiamo di sopra” mi fece lui, e io imboccai la scala con le ginocchia che tremavano.

Purtroppo il nostro esimio autore nei due libri successivi del romanzo, dedicati all’adolescenza, sembra proprio perdere la verve del grande scrittore, oltre a non avere una storia.

Un esempio? Tipo che il protagonista, trasformatosi dal bambinello di Nonno a ramaglio spacciatore per liceali, deve piazzare una quantità spropositata di ganja piovutagli addosso per caso e quindi non sapendo che fare se ne va a Rimini in cerca di un compratore a caso, situazione già di per sé realistica, e qui mi trova pure un losco tipo che sarebbe interessato all’acquisto. Ecco uno spezzone del dialogo tra i due:

Ognuno ha i cazzi suoi” concesse Morgan (il compratore) a Tommy “però devo dirti la verità. Sembri uno che scappa, sai?”

Cosa faceva? Ci ripensava?

“In un certo senso è così” ammisi. “Voglio fare il giro del mondo con la mia fidanzata.”

Quello annuì grave….

E questo sarebbe un dialogo tra due che trattano una grossa partita di droga? Boh…

Considerate, piuttosto, come trattava un dialogo tra spacciatori sempre il nostro grande scrittore, in Bastogne, 23 annetti fa.

Raimundo porta mezzo chilo di libanese ad un certo Youri, vecchia conoscenza da stadio. Arriva di gran furia al bar degli Scacchi, chè vuol consegnare rapidamiente e rapidamiente filare altrove.

“Mi sa tanto che non se ne fa un cazzo, vecchio” gli dice tuttavia questo Youri. E’ molto assorbito a bere un caffè col pernod, lui, chè mica ce l’ha il coraggio di parlare a Raimundo guardandolo negli occhi.

“In che senso ti sa che non ne facciamo un cazzo?”

“Nel senso che i ragazzi non sono riusciti a mettere insieme i soldi.”

Ecco perché ho tanta nostalgia dello scrittore di Bastogne che ahimè temo torni mai più. Ciao ciao Brizzi.

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