Nella tarda serata di ieri, in una telefonata ai limiti del paranormale, un amico mi confida:

“Ma ‘o sapevi che Paul Banks suonava ‘a chitara nei Radiohead però Thom Yorke nun ‘o lasciava canta’ e quindi ha fondato gli Interpol?”

Cosa?

"Si, e ha pure fatto n’artro album solista co’ ‘n’artro nome. Se vergogna proprio. Mo se fa chiama’ EOB!"

Appena sveglio, richiamo il mio amico e gli chiedo:” ma ieri stavi parlando di Ed O’ Brien?

"Chi?"

Quello che suona la chitarra con i Radiohead di cui nessuno conosce il nome...

"Ma non era Jonny Greenwood?"

No, ce n’è pure un altro

"‘Mbè?"

Ha fatto il disco nuovo, ma te m’hai detto che era di Paul Banks! Ieri sera...

“Primo: a me i Radiohead provocano narcolessia. Secondo: ieri stavo al telefono c’a donna mia!"

Breve pausa.

"Ma poi, come te viene ‘n mente de compra’ l’arbum novo de Greenwood?"

Era O’ Brien

"Vabbè, ma tu sei rincojonito uguale"

Appurato il mio decadimento cognitivo e la reale paternità del disco, mi accingo a sfruttare l’abbonamento gratuito ad Apple Music scroccato prima del rintanamento collettivo.

Che O’Brien, pardòn, EOB abbia lavorato sul disco per circa 7 anni è evidente per la molteplicità di riferimenti musicali ai quali l’intero lavoro rimanda sin dal primo ascolto.

Se con “Shangri-Là” si viene idealmente proiettati in un mondo altro, splendidamente lontano dal materialismo odierno e dagli affanni della vecchiaia, musicalmente ci troviamo dalle parti ben più note dei Blur di “Think Tank”, ai quali si aggiungono, nel (bel) ritornello, chitarre distorte e sature di bassi nonché echi degli ultimi Radiohead.

Il secondo singolo, “Brasil” è spiazzante, quasi fastidioso al primo ascolto, a causa della notevole differenza tra la lunga intro acustica di Drakeiana memoria ed il suo sviluppo poliritmico, elettro-psichedelico a metà tra il Caribou di “Niobe” e l’house asciutta di SBTRKT. Ascolto dopo ascolto, stemperato lo stupore iniziale, il brano però risulta più armonioso e anche piacevolmente danzabile grazie alla varietà di ritmi e all’avvolgente pulsare della base ritmica. Al basso troviamo il Greenwood dei Radiohead ancora sprovvisto di progetti solisti e, alla batteria, Omar Hakim, comparso nel tormentone “Get Lucky” dei Daft Punk ma, soprattutto, in vari lavori di David Bowie.

Proseguendo nell'ascolto, “Deep Days” sembra una versione più funky di “Everybody's Got to Learn Sometime” di Beck mentre “Long Time Coming” ci fa immergere nuovamente nel grande mare del folk-rock anni ‘70, narrandoci di una ragazza solitaria che ha bisogno di ritrovarsi. I testi e le atmosfere intimistiche -che in realtà permeano la quasi totalità del disco- continuano in "Mass", brano acustico scosso dai fremiti elettrici delle chitarre e arricchito dai ricami ambient delle tastiere che evocano ricordi "amazzonici".

"Banksters" costituisce il momento più politicamente ed esplicitamente impegnato dell'intero disco. Parafrasando Barack Obama, EOB individua l'errore di sistema nella crisi economica che, dissanguando solo la classe media americana, l'ha trasformata in una carta di credito volta a ripianare le perdite di Wall Street ("I know there's a flaw here/ When Wall Street devours Main Street/Chip and Pin Us"). Nel mezzo di questa bufera economica e sociale, l'unica soluzione è il continuare a viaggiare, a rischiare imbarcandosi sulla propria nave interiori, confidando nella presenza di un faro che ci orienti e alimenti la nostra luce con la sua. Forse gli esperimenti con i funghetti allucinogeni hanno condotto O' Brien ad assaporare esperienze mistiche che, musicalmente parlando, lo avvicinano più al post-rock ambientale dei Bark Psychosis che al rap cristologico di Kanye West.

Se le sostanze psicotrope sembrano ispirare positivamente O'Brien, lo stesso non si può dire per i suoi famosi compagni di viaggio, in particolare per Flood. Uscito dalla nube di marijuana che avvolgeva la sala di registrazione, pare che il produttore abbia detto:” Se ha funzionato con gli U2, il sound a là Achtung Baby funzionerà pure con te, Eddie bello”. Purtroppo per EOB, la sua voce non è quella di Bono e così “Okympik” risulta essere una copia di “Until the End of the World”, spegnendo anche la freschezza della bella e liquida chitarra che ne occupa la parte centrale.

Fortunatamente, la chiusura del disco ci regala una splendida ninnananna a due voci in cui l’ospite d’onore è Laura Marling. Edward ci assicura che, seppur sembri che il mondo ci stia crollando intorno, dovremmo lasciar prevalere l’Amore, disinnescando la paura.

In fin dei conti, Paul Banks è un gran tenerone quando si allontana dai Radiohead!

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