Io sono fatto così, più qualcosa viene etichettato e dibattuto e meno mi sento invogliato ad ascoltarlo ed approfondirlo; scommettere a scatola chiusa su un disco o un artista di cui non si sa praticamente nulla è sempre un rischio, eppure è proprio così che ho scoperto molti personaggi poi diventati miei prediletti: con un semplice atto di fede, basato su un titolo, qualche breve e vaga nota biografica, non più di un paio di canzoni sparse, in alcuni casi anche tramite una cover di qualcun altro che magari a sua volta ho conosciuto proprio con un procedimento analogo, in questo caso specifico un poster di Donovan che campeggia in copertina. Quando pescando dal mazzo si trova qualcosa di anche solo bello e piacevole è sempre una bella soddisfazione, vale la pena di prendere qualche cantonata, credetemi, perchè la soddisfazione in caso di scommessa positiva è di gran lunga maggiore ed appagante.

Gli Erland And The Carnival sono una delle mie intuizioni vincenti, una band londinese i cui componenti principali possono vantare una consistente carriera musicale precedente alla fondazione di questo progetto, il cui primo omonimo album è datato 2010: il chitarrista e polistrumentista Simon Tong ha fatto parte dei Verve e successivamente si è legato a Damon Albarn prima nei Blur e poi nei Gorillaz, il batterista David Nock è un apprezzato sound engineer di lungo corso, mentre per il cantante Gawain Erland Cooper i Carnival hanno rappresentato la prima vera esperienza discografica. Tuttavia, la presenza di elementi "navigati" si nota immediatamente nel carattere generale di "Nightingale", seconda uscita disografica del gruppo datata 2011, semplicemente perchè il sound del disco è assai maturo e personale, uno stile ben definito che non può che essere figlio dell'esperienza. Dimentichiamo quell'etichettina "britpop" che potrebbe essere facilmente appiccicata basandosi su valutazioni superficiali, "Nightingale" ha da offrire una ricercata e complessa fusione tra rock britannico, atmosfere folk e trame sonore elettroniche di ascendenza new wave. Questo album è molto particolare, non facilissimo da apprezzare in tempi brevi; non ha sicuramente un sound solare ma neanche troppo cupo, diciamo che gli scenari che rievoca sono come avvolti da una coltre di nebbia, una sensazione di freddo costante ma non troppo intenso, molto coerenti con la suggestiva ambientazione in cui è stato registrato il disco, ovvero un battello ancorato nel Tamigi. Un album molto introspettivo ed introverso senza mai risultare pesante e stucchevole questo "Nightingale", ma che sa regalare guizzi melodici potenti, limpidi ed efficaci fin dal primo ascolto, in primis "I'm Not Really Here", raffinatissimo pop elettronico con un chorus perfetto, l'inquieta cavalcata di "This Night", a metà tra le nebbie londinesi ed un far west morriconiano ed anche l'uno-due iniziale che propone sonorità molto più rock rispetto al resto dell'album, l'atmosferica ed affascinante "So Tired In The Morning" in particolar modo, che sfoggia un riff che farebbe felice Ray Davies ed elegantissimi fraseggi di tastiere vintage, mentre "Map Of An Englishman" si presenta un po' meno ricercata e più orientata al beat, sempre con i Kinks come punto di riferimento.

Il collante che regge l'album dal punto di vista emotivo, permeandolo in ogni singolo momento è senza dubbio la malinconia, non finta, non dolciastra, non intuilmente ostentata ed amplificata, semplicemente presente, nel mantra new wave di "Emmeline", nell'incedere inquieto e smarrito di una plumbea titletrack, nelle suggestioni psichedeliche della straniante "Dream Of The Road", nell'agrodolce ballad "Nothing Can Remain". In questo delicato marasma emotivo spicca in modo particolare una "East & West" che sembra uscita direttamente da "Sutras" di Donovan, connubio perfetto tra il folk acustico ed un'elettronica molto avvolgente e minimale, che esprime sonorità lontane, orientali, spirituali e meditative, una piccola parentesi di luce, soffusa ma luminosa che irradia da lontano i sentieri nebbiosi in cui si addentra "Nightingale"; un album perfetto per la stagione autunnale, in cui coesistono armonicamente sonorità analogiche e digitali, in cui la ricercatezza non significa superbia e vuoto esercizio di stile ma bensì un coerente e certosino lavoro di cuore e mente, l'arte di far combaciare alla perfezione musica e parole, rileggere tradizioni antiche con occhi nuovi. Un prodotto decisamente poco commerciale, di certo non il genere di disco da ascoltare di fretta o troppo spesso, ma quello che non manca è sicuramente l'anima, e in un immondezzaio di pseudo-alternatività da quattro soldi un raffinatissimo lavoro d'autore come questo spicca tantissimo e merita tutti gli elogi possibili da chi è ancora capace di apprezzare una qualità artigianale applicata alla musica pop, per tutto il resto ci sono i Bloc Party e gli Arctic Monkeys.

Carico i commenti... con calma