Un anno fa proprio il 13 settembre 2016 se ne andava Ermanno Rea nato a Napoli nel ’27 (lo stesso anno di mio padre, riposino in pace, solo che il mi babbo se lo trascinò via un tumore già 10 anni fa), non riuscì mai a laurearsi alla Facoltà di Lettere forse anche a causa della guerra dove divenne partigiano c/o una Brigata che operava in Toscana tra il ’44 e il ’45, fu giornalista, fotografo e come scrittore ha al suo attivo una tredicina di libri tra cui l’unico che ho letto, “La Dismissione” del 2002, da cui Gianni Amelio ha ricavato un bel film nel 2006 intitolato “La Stella Che Non C’è” con Sergio Castellitto.

Rea dopo aver lasciato il mondo del giornalismo si prese il famoso “anno sabbatico” anzi a dirla tutta se ne prese cinque, viaggiando in Europa e visitando anche l’Asia.

Per scrivere questo libro ritornò alla sua Napoli per seguire da vicino lo smantellamento dell’ILLVA di Bagnoli, quell’acciaieria che era diventata il simbolo di una città che per uscire dal proprio sottosviluppo economico aveva puntato tutto nel bene e nel male sull’industrializzazione, e come scrisse Ferruccio Fabrizio a proposito di questo libro:

“Riaprì una ferita sul futuro della fabbrica (che aveva chiuso ancora nel '91) e della città.

E quando l'Ilva di Bagnoli nel 2009 celebrò cent’anni di storia, le sue parole ebbero l'effetto dirompente di una colata di ghisa.”

Mentre Francesco Erbani a proposito dello smantellamento scrisse:

“La fine del sogno operaio di una città che aveva tentato di riscattare una storia plebea.”

Di questo affascinante libro che ho letto tutto d’un fiato una quindicina di anni fa quando uscì è stato data anche questa descrizione:

“E’ un’opera che ha guadagnato nel tempo una bruciante attualità.

Vi si leggono le sorti dell’Ilva di Bagnoli e della Napoli operaia attraverso la vicenda di Vincenzo Buonocore, entrato all’Ilva come semplice manovale e diventato, con gli anni, tecnico specializzato alla guida delle Colate Continue.”

A lui viene affidato il compito di smontare il suo reparto, venduto ai cinesi e decide di eseguire il compito assegnatogli con una precisione e un rigore “assoluti”.

Questa dismissione, dice a se stesso, dovrà avvenire “bullone per bullone”.

Termino con queste parole trovate sul sito della Feltrinelli:

“Il romanzo si chiude con un corteo funebre e con il presagio di futuri disastri: dal dilagare della disoccupazione all’imperio di una camorra destinata a non avere più freni.

A Napoli si è aggiunta Taranto, ma il quesito rimane lo stesso: Perché tanta cieca improvvisazione?

La risposta di tutti i Buonocore d’Italia, vecchi e nuovi non cambia:

“Perché abbiamo un capitalismo straccione e una classe dirigente inetta e famelica.”...

p.s. nell'immagine la locandina spagnola del film di Gianni Amelio

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