Incredibile a dirsi. Recensire un album come questo, destinato non soltanto agli amanti di sonorità dark come me, ma anche ad una fetta di pubblico avvezzo a robaccia circolante su MTV o altri bidoni per l'immondizia simili, si è rivelato più difficile del previsto. A distanza di quattro mesi dall'uscita e dal mio subitaneo acquisto di "The open door", dare un giudizio sugli Evanescence e sulla loro ultima fatica resta tuttora veramente arduo per il sottoscritto, forse a fronte della voglia di assimilare per bene il disco, prima di sparare a zero su di esso com'è piaciuto fare a molte malelingue della stampa di settore trovandosi di fronte un prodotto che può risultare appetibile alla massa e che non porta la firma Iron Maiden (per carità, impossibile muovere una critica ad un gruppo storico!). Gli Evanescence hanno scritto alcune delle mie canzoni preferite; non avrei mai potuto privarmi dell'ascolto del loro nuovo album, anche a fronte del fatto che tra gli innumerevoli e quasi tutti simili gruppi gothic metal scoperti negli ultimi anni poche sono le canzoni che vantano di raggiungere picchi emotivi paragonabili a quelli di "Breathe no more", "Understanding" o "Hello".
Non sapevo veramente cosa aspettarmi quando infilai il disco nel lettore. Se, ai microfoni, Amy ci aveva promesso da molto tempo una ventata d'aria fresca, tutto ciò di nuovo che, dopo "Fallen", la band aveva offerto (il singolo "Call me when you're sober") era impregnato d'aria malsana. L'ascolto cominciò dunque con qualche perplessità. Tuttavia le promesse non sono state smentite: nelle nuove tracce rimane poco o nulla di ciò che ascoltammo in "Fallen".
I cambiamenti si fanno sentire sin dall'opener "Sweet sacrifice": le chitarre si fanno dirette e pesanti, al limite del nu metal. Le orchestrazioni non sono in primo piano, fungono solo da completamento alle chitarre, ma questa canzone è destinata a rimanere un episodio isolato nell'insieme. Anche per quanto riguarda le liriche notiamo una rivoluzione. Niente più drammi esistenziali, ma molta più fiducia in se stessi: la voce di Amy recita "la paura è soltanto nelle nostre menti". E se "Call me when you're sober" ci presenta il lato più "pop" della band, il testo di questa canzone ci regala uno splendido affresco di quanto possa essere frustrante una relazione sentimentale alla fine delle sue possibilità d'esistenza. Dalla terza traccia "Weight of the world", i toni si alzano; anche qui le chitarre seguono lo stesso schema della traccia iniziale ma possiamo trovare parti pesanti seguite da altre pacate e riflessive dove troviamo note di pianoforte che ricordano il suono di un carillon e una chitarra acustica.
Analogamente a quanto proposto in "Fallen", uno degli highlight è la quarta traccia. "Lithium", non è però una ballata struggente e lenta come "My immortal", ma un pianto disperato tradotto in musica rock adornato da un'elegantissima vena dark nelle elegiache note del pianoforte e degli archi nonché nella voce di Amy, migliorata a livelli paurosi in estensione ed espressività. La cantante propone infatti accenni operistici in parti mai eccessive e sempre ben dosate in ogni canzone del platter. "Cloud nine" presenta parti di elettronica e una voce effettata, per poi sfociare in un ritornello veramente bello e regalarci un ponte dove pianoforte e chitarre duettano in ritmi sincopati. "Snow white queen" è la trasposizione di Bjork nello stile degli Evanescence. Con "Lacrymosa" la passione per i cori operistici e la musica classica si spinge oltre il consueto, andando addirittura a scomodare Mozart ed il suo "Requiem", causando brividi lungo la schiena per tutta la durata del brano fino all'intensa esplosione finale che farebbe invidia perfino a band che con la musica classica hanno molta più dimestichezza (i Nightwish ad esempio). "Like you" è una bellissima ballata dal sapore romantico intrisa di morte nella quale regna un'atmosfera da fiaba dark sia nella musica, sia nelle parole. "Lose control" narra forse d'innocenza perduta ed è irresistibilmente ipnotica sia nelle strofe dove il piano è padrone di casa, nel potente ritornello, sia nel bridge, fino allo svanire lentamente delle note in chiusura.
"The only one" è un invito alla non rassegnazione, il dolore è visto come un sentimento comune ("stiamo tutti sofferenti, smarriti e feriti") ed, ancora una volta, è il magico piano di Amy a dare quel tocco in più e ad introdurci nella bellissima "Your star", ennesima, perfetta sintesi di quanto oltre, rispetto al proprio passato, la band abbia saputo spingersi, soprattutto per quanto riguarda i cori lirici e le orchestrazioni. "All that I'm living for", con quel malinconico sottofondo d'archi, il suo testo riflessivo e l'arpeggio di chitarra nelle strofe sarebbe una canzone perfetta per una colonna sonora. Nell'incipit di "Good enough", suonata interamente al pianoforte con il prestigioso accompagnamento degli archi, percepiamo una struggente malinconia, che lascia però spazio ad un'ondata di meritato ottimismo con l'arrivo della voce di Amy a creare un vero duetto con il proprio strumento regalandoci melodie che sanno essere dolci come un sogno, come una pioggia tanto attesa che delicatamente sfiora la pelle.
Ora, mi trovo davanti ad una constatazione, che, per i sentimenti che mi legavano a "Fallen", mi ero forse sforzato di reprimere. "The open door" è il migliore tra gli album degli Evanescence. Ben Moody è stato sconfitto, così come i fantasmi del passato, ovvero l'eccessiva ma a volte inutile orecchiabilità, l'elettronica che mai riusciva a trovare la propria collocazione ideale, il pianoforte ingiustamente relegato in secondo piano, i testi a volte scontati ed adolescenziali e la staticità della voce. Magari non avranno un grandissimo bagaglio tecnico e costruiranno canzoni semplici dal punto di vista esecutivo, ma tra la rigidità, la freddezza e la stereotipia di band dove abbondano volti depressi segnati dalle lacrime e sentimenti romantici intrisi di nero a volte puramente artificiali, gli Evanescence, con la loro sincerità emotiva, sono uno dei pochi gruppi meritevoli di successo e i giusti alfieri per questo genere che delle emozioni forti fa il proprio fulcro.
Carico i commenti... con calma