Strana storia quella degli Extreme: passati praticamente inosservati al loro debutto nel 1989 con l'omonimo album, salgono alla ribalta grazie a "More than Words", ballatona diventata subito un hit da primo posto nelle chart di mezzo mondo, ma anche purtroppo una sorta di maledizione, che li etichetterà come gruppo "da una singola hit" e che li porterà di riflesso a trovare sempre meno successo e gradimento con i lavori successivi, fino alla prematura fine nel giro di 4 anni.

Mai impressione fu più sbagliata, perchè la suddetta canzone non rappresenta affatto quello che gli Extreme erano: una band estremamente sottovalutata, dalle mille sfaccettature, composta da professionisti seri e capaci e in grado di fondere insieme rock, metal, funk e...sì, anche pezzi più "banali" e commerciali come "More than Words" appunto.
Lo dimostra più che mai questo "III Sides...", loro terzo album e segno della definitiva maturazione: coraggiosamente, il quartetto di Boston decide di non cavalcare l'onda del successo (sarebbe stato molto più semplice e redditizio sfornare un cd sulla falsariga del predecessore, inserendo un singolo spacca-classifica e campare sul suo successo), ma decidono di continuare per la loro strada, osando come hanno sempre fatto, andando controcorrente, magari infischiandosene dei soldi facili e delle classifiche.

L'album in questione è una sorta di concept: è infatti diviso in 3 parti ("Yours", "Mine" e "The Truth"), che rappresentano una sorta di triplice visione sulla musica del gruppo: infatti, mai come in questo cd è possibile trovare elementi che vanno dal loro funk-rock marchio di fabbrica, alle accelerazioni più propriamente heavy metal fino a sfociare addirittura nell'opera sinfonica (e qui risulta azzeccata la definizione di chi vedeva in loro gli eredi dei Queen). Gli Extreme si dimostrano capaci di passare con assoluta naturalezza da un genere all'altro: alla veloce e adrenalinica "Warheads" che apre il platter, si contrappone una calma e ragionata "Stop the World" (ottima ballad e uno dei singoli), alle atmosfere più leggere e spensierate di "Tragic Comic" (altro singolo, dominato dagli strumenti acustici) risponde una splendida composizione orchestrale come la ballad "Seven Sundays", fino ad arrivare ad arditi esperimenti come gli inserti rap di "Cupid's Dead", il brano forse più difficile da interpretare, ma che presenta una sezione strumentale chitarra-basso all'unisono da applausi.

Su tutto, si staglia il lavoro alla sei corde di Nuno Bettencourt, uno dei migliori chitarristi ritmici in circolazione, capace di padroneggiare le tecniche e i generi più disparati e di fonderli in assoli ragionati e che non rappresentano mai una pura esibizione di tecnica, tanto è vero che i due migliori li si trova in "Rest in Peace" (primo singolo estratto dall'album), dove sono evidenti i richiami al blues, e in "Who Cares?": poche note, ma dall'intensità ed espresività difficilmente imitabili.
Ben in evidenza anche il lavoro al basso di Pat Badger, sia nella sezione ritmica in compagnia di Paul Geary dietro le pelli, sia come degna spalla di Nuno e protagonista anche lui in diversi episodi: il già citato duetto-duello in "Cupid's Dead" e l'assolo in "Stop the World", altra piccola gemma dell'espressività che sono in grado di donare poche singole note!

Il lavoro si conclude con l'opera finale (non si può definire in altro modo) "Everything Under the Sun": 22 minuti di suite, in cui convergono tutte le anime del gruppo: l'intro di note di carillon apre "Rise 'n' Shine", pezzo acustico in cui alla voce troviamo l'immancabile duetto Gary Cherone - Nuno, si passa poi alle ritmiche più sostenute di "Am I Ever Gonna Change?", dall'azzeccato ritornello che confluisce poi nella conclusiva "Who Cares?", dominata da pianoforte e orchestra sinfonica magistralmente diretta dal solito Nuno, in cui trova anche spazio l'ottima interpretazione di Cherone, ispirata e guidata anche dalla sua passione per l'opera teatrale; suite che presenta anche il testo più serio e profondo scritto dal duo Cherone-Nuno, vere menti pensanti e compositori del combo. Testi che si allontanano da quelli goliardici e a volte ai limiti di censura dei precedenti lavori, per abbracciare tematiche più mature, sociali, andando a toccare la sfera dei sentimenti umana e anche l'ambito religioso (la struggente "God isn't Dead?" ne è il perfetto esempio).

In definitiva, un album indubbiamente difficile da ascoltare dall'inizio alla fine, anche a causa della non poca durata complessiva (76 min. circa), ma che rappresenta indubbiamente meglio di ogni altro tutto il talento di cui erano padroni i quattro: un lavoro certo poco commerciale e quasi impossibile da passare in radio o su MTV e che quindi non ha riscosso il successo che meritava, segnando l'inizio della parabola discendente per il gruppo; però un ottimo album capace di accontentare diversi palati, ed è proprio questa sua caratteristica che lo rende ancor più un vero capolavoro.

P.S.: nell'edizione in cassetta è presente una traccia in più , cioè "Don't Leave Me Alone": si tratta di una dolce ballad al pianoforte con un duetto Gary-Nuno alla voce ed è un vero peccato che non sia stata inserita su cd...

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