So bene che ci sono miriadi di recensioni di album di Fabrizio De André, ma mi sembra che valga la pena di scriverne una ulteriore su "Le Nuvole". E' il penultimo album di De André, e racchiude tutte le esperienze passate del maestro, le sue collaborazioni (Mauro Pagani, Massimo Bubola), e anche quelle future (Ivano Fossati).

Fabrizio De Andrè, è noto, studiava nel minimo dettaglio ogni parola delle sue poesie, e in questo album anche il titolo è importante, e denota la grande cultura del maestro. Le Nuvole non sono dei semplici fenomeni atmosferici, ma sono le Nuvole della commedia greca di Aristofane, sono i personaggi ingombranti della nostra società, che oscurano il sole, proprio come le Nuvole. E così si intitola la prima traccia del disco: "Le Nuvole" non è una canzone, è un recitato, due voci di donne, una anziana e una giovane si intrecciano, per spiegarci cosa sono veramente le Nuvole.

"Ottocento" è la "Carlo Martello" degli anni '90, goliardica, ma molto più raffinata: De Andrè si permette dei versi in tedesco, e addirittura uno jodel finale. Segue una delle canzoni più famose di De André: "Don Raffaè", scritta in un napoletano maccheronico e comprensibilissimo, parla di un intellettuale, che a sera raduna tutti quanti e legge il giornale, spiega le notizie. Inizia qui il duro attacco allo Stato da parte di De Andrè, che prende in prestito le parole di Spadolini, a Palermo, in occasione di una delle tante stragi mafiose: "Sono costernato, sono indignato e mi impegno...".

"La Domenica delle Salme" è interamente una denuncia della perdita di ideali da parte della gente, a seguito della caduta del Muro di Berlino. Accenna anche a Renato Curcio: secondo De Andrè, a differenza di pluriomicidi e autori di stragi, Curcio stava in carcere senza aver ucciso nessuno, forse perchè non si era mai pentito, dissociato, perso appunto quegli ideali. Finisce qua il lato A dell'album, scritto in italiano, e inizia la parte in genovese, ma non solo: "Mégu Megùn" è scritta in genovese, come tutte le canzoni di "Creuza de Ma", e segue la traccia dell'album precedente.

"La Nova Gelosia" invece è una canzone popolare napoletana, De André si limita a riarrangiarla, e lo fa in modo magistrale, la sua voce e la musica sono dolci, e si lasciano ascoltare lisce come la seta. Una canzone senza tempo. Probabilmente uno dei temi principali della cultura genovese è il cibo, e di questo parla "A çimma": la cima è un piatto povero genovese, una specie di tasca di carne, aromatizzata e riempita di scarti. Sembra un tema su cui nessuno mai scriverebbe una canzone, ma anche da questo Fabrizio De André riesce a tirare fuori una splendida poesia; il genovese sembra, con le canzoni di De André, una lingua perfetta per scrivere musica, ma forse lui ci sarebbe riuscito con qualsiasi lingua. Ecco infatti "Monti di Mola", scritta in gallurese, e la differenza si sente rispetto al genovese. La canzone parla di un matrimonio impossibile tra un'asina e un giovane, in Costa Smeralda, anticamente chiamata appunto Monti di Mola. Un bel congedo per questo splendido album.

Fabrizio De André ha rivoluzionato la musica italiana con "Creuza de Ma", ma con questo disco fa un passo in avanti, riesce a coniugare la tradizione italiana, la sua tradizione, quella genovese, la denuncia politica, la canzone popolare e la poesia. Mi chiedo cosa Fabrizio De André penserebbe del mondo di oggi, dopo l'11 settembre, le guerre: cosa scriverebbe? Di sicuro, le denunce de "Le Nuvole" sono buone anche per oggi, e nessuno dimenticherà mai la poesia e la straordinaria capacità di comunicazione di Fabrizio De André.

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