«...in Creuza in fondo ci eravamo divisi i compiti, lui i testi, io le musiche. Quando cominciammo a lavorare al disco nuovo ci rendemmo conto invece che con il passare degli anni il nostro rapporto si era fatto più profondo, che le nostre conoscenze sempre più si influenzavano e si intrecciavano a vicenda. Così stavolta tutto prese forma e identità davvero a quattro mani, chiacchierando, inventando, facendo e rifacendo.»
(Mauro Pagani, 2006)
[..] le mie Nuvole sono invece da intendersi come quei personaggi ingombranti e incombenti nella nostra vita sociale, politica ed economica; sono tutti coloro che hanno terrore del nuovo perché il nuovo potrebbe sovvertire le loro posizioni di potere.»
(Fabrizio De André, 1990)
Wikipedia ci viene in soccorso, ma non basta.
Negli anni '70 De André si era impegnato molto coi concept album, tre di fila, uno meglio dell'altro ("La buona novella", 1970; "Non al denaro non all'amore né al cielo", 1971; "Storia di un impiegato", 1973), salvo poi virare su altri album, più frammentati ma comunque meravigliosi (compreso l'ottimo, a mio avviso, "Canzoni", 1974). A sei anni di distanza da "Creuza de ma" la voglia di un nuovo concept album era forte, e "Le nuvole" tale avrebbe dovuto essere, un concept album sulla società decadente di fine Ottocento. Diventò altro, e unì, curiosamente, le tre anime di De André: Bubola, Pagani, Fossati. Cioè chi c'era stato molto prima, Bubola nei dischi folk di fine anni Settanta e inizio anni Ottanta; Pagani, il presente; Fossati, il futuro in "Anime salve" (1996). Come spiegò durante un mini-tour televisivo promozionale dell'epoca, lo stesso De André il disco è come se fosse nettamente diviso in due parti, la prima in cui parlano persone istruite o quasi e dunque vengono nobilitate dalla lingua italiana, nel secondo tempo parlano gli umili, il popolo, e dunque si esprimono in dialetto (qui il video https://www.youtube.com/watch?v=hLFECEaRRpE).
La presenza di Pagani è evidente soprattutto nel secondo tempo, quello in cui interviene il dialetto (triplice, genovese, sardo, napoletano). Mandolino, kazoo, bozouki, lira greca, flauto, ogni strumento appartenente ad un mondo lontano e tipicamente regionale viene suonato dall'ex PFM, anche se in alcune composizioni interviene, al pianoforte, pure un giovanissimo Sergio Conforti alias Rocco Tanica degli Elio e le Storie Tese, attivi all'apoca con un solo album, perdipiù abbastanza di nicchia.
L'album si apre con un brano recitato, "Le nuvole":
«Ho scelto Lalla Pisano e Maria Mereu perché le loro voci mi sembravano in grado di rappresentare bene «la Madre Terra», quella, appunto, che vede continuamente passare le nuvole e rimane ad aspettare che piova. È messo subito in chiaro che «si mettono lì / tra noi e il cielo»: se da una parte ci obbligano ad alzare lo sguardo per osservarle, dall'altra ci impediscono di vedere qualcosa di diverso o più alto di loro.»
(Fabrizio De André)
Resta incredibile il mix di poesia e suoni che trasuda in tutto l'album, certo De André ci aveva già dato la gioia di ascoltare lavori sospesi a metà tra queste due arti, ma credo che "Le nuvole" sia l'esempio massimo di come si possano conciliare due mondi che qualcuno vorrebbe diversi, cioè la musica e la poesia. Se "Creuza de ma" era soprattutto un opera più musicale che letteraria (certo i testi contavano molto, ma tutto il lavoro di ricerca sul suono fu disumano, e meriterebbe un lunghissimo discorso a sé) qui le due anime si fondono, come nella successiva "Ottocento", forse l'unico frammento rimasto intatto di quel famoso concept album che avrebbe dovuto essere.
Il brano è una specie di mini-operetta con citazioni da Čajkovskij, Jacopone da Todi e una visione metaforica sull'Alka-Seltzer che fa capire a quale livello di testi era arrivato De André (in pratica la morte di un figlio viene ruttata come un Alka-Seltzer, proprio come la borghesia tedesca aveva "ruttato" il nazismo per i suoi interessi).
A proposito di "Ottocento":
«È un modo di cantare falsamente colto, un fare il verso al canto lirico, suggeritomi dalla valenza enfatica di un personaggio che più che un uomo è un aspirapolvere: aspira e succhia sentimenti, affetti, organi vitali ed oggetti di fronte ai quali dimostra un univoco atteggiamento mentale: la possibilità di venderli e di comprarli. La voce semi-impostata mi è sembrata idonea a caratterizzare l'immaginario falso-romantico di un mostro incolto e arricchito.»
(Fabrizio De André, 1990)
«Quando il disco fu terminato Fabrizio se lo portò a casa e dopo qualche giorno mi telefonò. «Manca qualcosa, è tutto bello ma un po' troppo leggero, manca quello che pensiamo davvero di tutto questo, manca quello che purtroppo ci è accaduto». Così qualche giorno dopo partimmo per la Sardegna, e dopo aver fatto il pieno di bottiglioni di Cannonau ci nascondemmo all'Agnata, la sua tenuta in Gallura. Faber tirò fuori uno dei suoi famosi quaderni, e le cento righe di appunti quasi casuali, raccolti in anni di letture di libri e quotidiani, in tre giorni diventarono la descrizione lucida e appassionata del silenzioso, doloroso e patetico colpo di Stato avvenuto intorno a noi senza che ci accorgessimo di nulla, della vittoria silenziosa e definitiva della stupidità e della mancanza di morale sopra ogni altra cosa. Della sconfitta della ragione e della speranza.
(Mauro Pagani)
Il brano ebbe anche un video, regia di Gabriele Salvatores due anni prima dell'Oscar, ma è una piccola opera d'arte del tutto simbolica, perché la canzone si snoda attraverso immagini di qualsiasi tipo (il ministro dei temporali; la scimmia del Quarto Reich; Renato Curcio, il carbonaro; Milano che galleggia nella bottiglia d'orzata; frecciatine, pare, ai cantautori un tempo impegnati ora meno, Venditti e Bennato) e una serie di metafore a volte di difficile soluzione interpretativa, ma affascinanti e, non di rado, premonitrici (la Baggina citata nella canzone è il Pio Albergo Trivulzio di Milano da cui due anni dopo partì l'inchiesta di Tangentopoli). La paura di non poter più concepire una democrazia compiuta fu alla base dell'idea del brano che è tra i vertici dell'opera di De André e forse uno dei pezzi più profetici, strazianti e tragici dell'intero canzoniere italiano, con quella "vibrante protesta" lasciato lì così, a mezz'aria, in sospeso.
La seconda facciata la apre, appunto, Fossati, con "Megu Megun" e si stemperano gli animi. Il popolo non ha gli intrallazzi doppiogiochisti e laidi dei potenti, e dunque il lato B dell'album è più solare, a tratti comico. "Megu megun" non ne è un buon esempio, dato che in dialetto genovese si racconta la ridicola storiella di un malato immaginario che non vuole alzarsi dal letto e il medico che lo vuol convincere che, insomma, non ha nulla. Che farebbe anche ridere se non fosse che ad un certo punto si riproduce il suono affannoso del finto malato che non vuole alzarsi perchè ha paura del mondo, nel senso più globale del termine. Ma il ritmo e la velocità del pezzo sono impagabili.
Parlando della facciata A ho volutamente sorvolato "Don Raffaé" (si è già detto di tutto, l'hanno cantata tutti, persino Gigi D'Alessio e anni fa la rovinò senza colpo ferire Massimo Ranieri in televisione), ma lì c'era un uso leggero del dialetto napoletano. "La nova gelosia" è invece napoletana al 100%. La cantava, tra gli altri, Murolo, che con De André in quegli anni facevano coppia, e dunque l'idea venne da lì. Murolo e De André insieme? Certo, quando il Concertone del Primo Maggio aveva ancora un senso cantarono insieme la succitata "Don Raffaé" (link https://www.youtube.com/watch?v=hWfniy5GozU).
Va detto, io sono di Milano, ma l'unico posto in Italia in cui potrei trasferirmi è la Liguria, che è bellissima. Si mangia la pasta al pesto e la cima, tra le altre cose. Chi non ha mai mangiato la cima si penta e non sa cosa si è perso. Ma la cima è una ricetta vecchissima, scritta sui libri di storia, neanche di cucina, e Fossati e De André ce la raccontano scherzosamente con "A cimma"
(LIJ)
«Çê serèn, tæra scùa
carne tennia, no fâte neigra
no tornâ dùa
Bell’oëgê straponta de tutto bon
primma de battezâla 'nto preboggion
con doi agoggioin drïto in ponta de pê
da sorvia in zù fïto ti â ponziggiæ»
(IT)
«Cielo sereno terra scura
carne tenera, non diventare nera
non tornare dura
Bel guanciale materasso di ogni ben di Dio
prima di battezzarla nelle erbe aromatiche
con due grossi aghi dritto in punta di piedi
da sopra a sotto svelto la pungerai»
So invece pochissimo della Sardegna, ma De André l'amava, aveva una casa (anche se abitava a Milano) e lo rapirono pure. Poi lui ha perdonato e ci ha regalato "Hotel Supramonte". In "Monti di Mola" verga con gusto un ritratto se vogliamo un po' cinico di un paesino della Gallura in cui un uomo e un'asina decidono (oddio decidono, diciamo che decide lui) di sposarsi e la comunità intera si prodiga nel preparare le nozze, peccato che alla fine i due soggetti (l'uomo e l'asina) risultino "fratelli in primu" e dunque matrimonio a rotoli. Ritmo concitato, Flavio Premoli alla fisarmonica e i Tazenda a far da coro.
Un disco memorabile che vendette pure molto. Era il 1990.
Elenco tracce testi e samples
02 Ottocento (04:56)
Cantami di questo tempo
l'astio e il malcontento
di chi è sottovento
e non vuol sentir l'odore
di questo motore
che ci porta avanti
quasi tutti quanti
maschi, femmine e cantanti
su un tappeto di contanti
nel cielo blu
Figlia della mia famiglia
sei la meraviglia
già matura e ancora pura
come la verdura di papà
Figlio bello e audace
bronzo di Versace
figlio sempre più capace
di giocare in borsa
di stuprare in corsa
e tu, moglie
dalle larghe maglie
dalle molte volgie
esperta di anticaglie
scatole d'argento ti regalero
Ottocento
Novecento
Millecinquecento scatole d'argento
fine Settecento ti reglalerò
''Corale
Quanti pezzi di ricambio
quante meraviglie
quanti articoli di scambio
quante belle figlie da sposar
e quante belle valvole e pistoni
fegati e polmoni
e quante belle biglie a rotolar
e quante belle triglie nel mar''
Figlio figlio
povero figlio
eri bello, bianco e vermiglio
quale intruglio
ti ha perduto
nel Naviglio
figlio figlio
unico sbaglio
annegato come un coniglio
per ferirmi
pugnalarmi nell'orgoglio
a me a me
che ti trattavo
come un figlio
povero me
domani andrà meglio
Eine kleine Pinzimonie
Wunder Matrimonie
Krauten und Erbeeren
und Patellen und Arsellen
fischen Zanzibar
und einige Krapfen
früer vor schlafen
und erwachen mit der Walzer
und Alka-Seltzer für
dimenticar
''Corale
Quanti pezzi di ricambio
quante meraviglie
quanti articoli di scambio
quante belle figlie da giocar
e quante belle valvole e pistoni
fegati e polmoni
e quante belle biglie a rotolar
e quante belle triglie nel mar''
'''Traduzione strofa in tedesco'''
''Un piccolo pinzimonio
splendido matrimonio
cavoli e fragole
e patelle ed arselle
pescate a Zanzibar
e qualche krapfen
prima di dormire
ed un risveglio con valzer
e un Alka-Seltzer per
dimenticar''
03 Don Raffae' (04:09)
Io mi chiamo Pasquale Cafiero
e son brigadiero del carcere oinè
io mi chiamo Cafiero Pasquale
sto a Poggioreale dal '53
e al centesimo catenaccio
alla sera mi sento uno straccio
per fortuna che al braccio speciale
c'è un uomo geniale che parla co' mme.
Tutto il giorno con quattro infamoni
briganti, papponi, cornuti e lacchè
tutte ll'ore co' 'sta fetenzia
che sputa minaccia e s' 'a piglia co' mme
ma alla fine m'assetto papale
mi sbottono e mi leggo 'o ggiurnale
mi consiglio con don Raffaè
mi spiega che penso e bevimm' 'o ccafè.
Ah, che bellu ccafè
sulo 'n carcere 'o sanno fà
co' 'a recetta ch'a Cicirinella
compagno di cella ci ha dato mammà.
Prima pagina venti notizie
ventuno ingiustizie e lo Stato che fa
si costerna, s'indigna, s'impegna
poi getta la spugna con gran dignità.
Mi scervello. mi asciugo la fronte
per fortuna c'è chi mi risponde
a quell'uomo sceltissimo e immenso
io chiedo consenso, a don Raffaè.
Un galantuomo che tiene sei figli
ha chiesto una casa e ci danno consigli
l'assessore che Dio lo perdoni
'ndentro 'a roulotte ci alleva i visoni.
Voi vi basta una mossa, una voce
c'a 'stu Cristo ci leva 'na croce.
Con rispetto, s'è fatto le tre
vulite 'a spremuta o vulite 'o caffè?
Ah, che bellu ccafè
sulo 'n carcere 'o sanno fà
co' 'a recetta ch'a Cicirinella
compagno di cella ci ha dato mammà
Ah, che bellu ccafè
sulo 'n carcere 'o sanno fà
co' 'a recetta di Cicirinella
compagno di cella precisa a mammà
'Cca ci sta l'inflazione, la svalutazione
e la borsa ce l'ha chi c'è l'ha
io non tengo compendio che chillo stipendio
è un ambo se sogno a papà
Aggiungete mia figlia Innocenza
vuò 'o marito, nun tiene pazienza
non vi chiedo la grazia pé 'mmè
vi faccio la barba o la fate da sè?
Voi tenete un cappotto cammello
che al maxi-processo eravate 'o cchiu bello,
un vestito gessato marrone
così ci è sembrato alla televisione
pe 'ste nozze vi prego Eccellenza
mi prestasse pé ffare presenza
io già tengo le scarpe e 'o gilè
gradite 'o Campari o vulite 'o ccafè?
Ah, che bellu ccafè
sulo 'n carcere 'o sanno fà
co' 'a recetta ch'a Cicirinella
compagno di cella ci ha dato mammà.
Ah, che bellu ccafè
sulo 'n carcere 'o sanno fà
co' 'a ricetta di Cicirinella
compagno di cella preciso a mammà.
Qui non c'è più decoro, le carceri d'oro
ma chi ll'ha mai viste, chissà
cheste sò fatiscenti pé cchisto 'e fetienti
si tengono l'immunità
don Raffaè voi politicamente
io vi giuro sarebbe 'nu santo
ma a'cca dinto voi state a pagà
e fora chist'atre se stanno a spassà.
A proposito, tengo nu frate
che da quindici anni sta disoccupato
chillo ha fatto cinquanta concorsi
novanta domande e duecento ricorsi
voi che date conforto e lavoro,
Eminenza, vi bacio e v'imploro
chillo dorme cu mamma e cu mme
che crema d'Arabia ch'è cchistu ccafè.
07 'Â çímma (06:18)
Ti t’adesciàe ‘nsce l’èndegu du matin
ch’à luxe a l’à ‘n pè ‘n tera e l’àtru in mà
[Ti sveglierai sull’indaco del mattino
quando la luce ha un piede in terra e l’ altro in mare]
ti t’ammiàe a ou spègiu dà ruzà
ti mettiàe ou brùgu rèdennu’nte ‘n cantùn
[ti guarderai allo specchio di un tegamino
metterai la scopa dritta in un angolo]
che se d’à cappa a sgùggia ‘n cuxin-a stria
a xeùa de cuntà ‘e pàgge che ghe sùn
‘a cimma a l’è za pinn-a a l’è za cùxia
[che se dalla cappa scivola in cucina la strega
a forza di contare le paglie che ci sono
la cima è già piena è già cucita]
Cè serèn tèra scùa
carne tènia nu fàte nèigra
nu turnà dùa
[Cielo sereno terra scura
carne tenera non diventare nera
non ritornare dura
Bell’oueggè strapunta de tùttu bun
prima de battezàlu ‘ntou prebuggiun
[Bel guanciale materasso di ogni ben di Dio
prima di battezzarla nelle erbe aromatiche
cun dui aguggiuìn dritu ‘n pùnta de pè
da sùrvia ‘n zù fitu ti ‘a punziggè
àia de lùn-a vègia de ciaèu de nègia
[con due grossi aghi dritti in punta di piedi
da sopra a sotto svelto la pungerai
aria di luna vecchia di chiarore di nebbia]
ch’ou cègu ou pèrde ‘a tèsta l’àse ou sentè
oudù de mà misciòu de pèrsa lègia
cos’àtru fa cos’àtru dàghe a ou cè
[che il chierico perde la testa e l’asino il sentiero
odore di mare mescolato a maggiorana leggera
cos’altro fare cos’altro dare al cielo]
Cè serèn tèra scùa
carne tènia nu fàte nèigra
[Cielo sereno terra scura
carne tenera non diventare nera]
nu turnà dùa
e ‘nt’ou nùme de Maria
[non ritornare dura
e nel nome di Maria]
tùtti diài da sta pùgnatta
anène via
[tutti i diavoli da questa pentola
andate via]
Poi vegnan a pigiàtela i càmè
te lascian tùttu ou fùmmu d’ou toèu mestè
[Poi vengono a prendertela i camerieri
ti lasciano tutto il fumo del tuo mestiere]
tucca a ou fantin à prima coutelà
mangè mangè nu sèi chi ve mangià
[tocca allo scapolo la prima coltellata
mangiate mangiate non sapete chi vi mangerà]
Cè serèn tèra scùa
carne tènia nu fàte nèigra
nu turnà dùa
e ‘nt’ou nùme de Maria
tùtti diài da sta pùgnatta
anène via.
[Cielo sereno terra scura
carne tenera non diventare nera
non ritornare dura
e nel nome di Maria
tutti i diavoli da questa pentola
andate via]
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Di Grasshopper
Le nuvole è una poesia, recitata da due voci di donna con lieve accento sardo, su un sottofondo che dalle cicale iniziali si evolve in un sinfonico crescendo di archi.
La canzone ha ormai 14 anni, ma ogni giorno diventa più attuale.
Di NiCoII
Le Nuvole non sono dei semplici fenomeni atmosferici, ma sono le Nuvole della commedia greca di Aristofane, sono i personaggi ingombranti della nostra società, che oscurano il sole.
Fabrizio De André ha rivoluzionato la musica italiana con 'Creuza de Ma', ma con questo disco fa un passo in avanti, riuscendo a coniugare la tradizione italiana, la denuncia politica e la poesia.