Lungamente atteso, 6 anni dopo "Creuza de ma", esce questo originale album, che ad un primo ascolto sembra un'accozzaglia dei generi più svariati di canzoni, senza alcun legame. Ben presto però si profilano due parti ben distinte: una di denuncia, quasi tutta in italiano, l'altra "etnica". La prima parte si apre e si chiude con un coro di cicale che simboleggia l'unica "vibrante protesta" rimasta in un paese che va allo sfascio. "Le nuvole" è una poesia, recitata da due voci di donna con lieve accento sardo, su un sottofondo che dalle cicale iniziali si evolve in un sinfonico crescendo di archi. "Ottocento" è in realtà piuttosto settecentesca, rococò, proprio per ridicolizzare con ironia tagliente l'ottusità di questi tempi dove i vincenti sono "bronzi di Versace" capaci di "giocare in borsa e di stuprare in corsa", tempi frivoli come la fine del '700, e per di più privi di un Mozart. La satira si fa sempre più demenziale, fino al delirante tedesco maccheronico e allo "Jodel" che chiudono il brano.

Poche note di pianoforte (Tchaikovskij) portano a "Don Raffaè", in cui la satira diventa tremendamente attuale: il secondino Pasquale Cafiero (cognome non casuale) non crede nello Stato ma solo a quell'uomo "geniale, sceltissimo e immenso" che è appunto il boss della camorra Don Raffaè, l'unico capace di fare giustizia, e di "dare conforto e lavoro". E' una tarantella cantata in napoletano, con accompagnamenti bandistici (tipo la vecchia "Bocca di rosa"). Lo stesso intermezzo pianistico introduce "La domenica delle salme", e qui non c'è neanche più la forza della satira, ma solo la desolazione agghiacciante e totale di un'Italia, e di un mondo, ormai completamente "normalizzati", dove l'Utopia è ormai un cadavere e su tutto regna una "pace terrificante", il silenzio delle idee. La canzone ha ormai 14 anni, ma ogni giorno diventa più attuale.

Seconda metà del disco: quella "etnica", dialettale. Non è un seguito di "Creuza de ma": in genovese sono solo "Megu megun" (Medico medicone), strana figura di medico ipocondriaco, musica orientaleggiante, affine a "Jamin-a", e "A cimma", bizzarra storia di un cuoco che crea il suo capolavoro (la cima, complicato piatto genovese) con fede quasi mistica, e si commuove quando i camerieri la portano via. Non può essere che in napoletano "Nova gelosia", un classico ripreso da Roberto Murolo (che ricambierà cantando "Don Raffaè"). Grande interpretazione, specie per un non napoletano. E' invece in sardo "Monti di Mola", idilliaca e sincera storia d'amore tra un giovane pastore e una bellissima asina dal mantello chiaro, sufficiente però a scatenare l'invidia dei paesani. Disco variegato, forse un po' disorganico, ma di grande qualità. Coautore, come in "Creuza de ma", è l'ex P.F.M. Mauro Pagani.

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