Signori miei sono tornato! Spero questa volta di avere la punteggiatura a mio favore.
Il disco di cui sopra è per il sottoscritto uno dei migliori della sua discografia, ho quindi il dovere, il piacere e l'onore di recensirlo. Uscito nel 1971, questo disco, sicuramente fra i più ardui ed arditi del nostro Fabrizio, ha il merito di aver fatto scoprire nell'italico paese un'antologia, quella di "Spoon River", alla quale si ispira. Attenzione qui non si parla di traduzioni nude e crode del capolavoro di Masters, bensi' di liberi adattamenti ad un concetto di base, elaborato con aggiunte di primissima categoria.
Il disco intero (come l'antologia) è un "concept" ideato sulla popolazione di un villaggio che si racconta dalla tomba in cui giace, ma proprio dove Masters cerca il collegamento fra tutti i personaggi, de Andrè lo disperde aggiungendo concetti che rendono il suo lavoro quasi "un manuale di comportamenti umani", mettendo in risalto l'invidia, l'approccio all'amore, la scienza e la vita.
L'album riusci a sconfiggere la censura nonostante tanti temi considerati all'epoca forti. La Stessa Fernanda Pivano (prima traduttrice delle antologie di "Spoon River" in Italia) affermò che de Andrè ha reso la poesia più libera nel nostro assurdo bel paese e che, di fatto, le versioni di de Andrè sono piu belle delle originali di E.L. Masters troppo limitate dal contesto storico del 1918.
Ora cercherò di dire la mia analizzando in maniera più approfondita le tracce:
Il disco si apre con "La collina", (canzone erroneamente stampata sul retro a titolo "Dormono sulla collina") dove si descrivono personaggi vivi, il senso di evocazione appare molto forte, a tal punto che i personaggi descritti prendano vita, denunciando un idea di destino piuttosto pessimista, e aprendo la visione forse più libertaria del suo credo: ("Dove sono Berth e Tom? Il primo ucciso in una rissa \ e l'altro che usci già morto di galera"). L'inutilità della prigione come mezzo puramente punitivo, che, senza far crescere e maturare un uomo, non lo rende in grado di approcciarsi ai suoi simili. Rendendo la visione orripilante della guerra e parlandoci un po' del personaggio più complesso del disco Il suonatore Jones, de quale parlerò in seguito.
In "Un matto" Il cantautore descrive una persona "diversa" quasi incapace di comunicare con la società che lo circonda, che invidia e che per stupirla compie un impresa ardita: si impara un enciclopedia a memoria! Allora il "matto" viene etichettato come "scemo del villaggio" dai suoi compaesani che lo spedirono in manicomio. Dopo la morte ritrovò la pace nei suoi pensieri e si stupi che la gente lo insultava ancora andandolo a trovare alla tomba, si rese quindi conto che ogni villaggio ha bisogno del suo scemo per riuscire a sfogarsi delle proprie frustrazioni.
"Un giudice" parla della rivalsa, dell' invidia di una persona di statura molto bassa che, essendo schernita dalla popolazione decide di diventare avvocato e giudice per poter decidere degli altri, estremamente ironica, la canzone spiazza con un finale molto forte, il nostro, infatti, in punto di morte sostiene di non conoscere la statura di dio, e che quindi non sa se sia un dio benevolo perché "normale" o un dio normale e quindi, come il nano, assetato di vendetta.
"Un blasfemo" ci narra della perdita dell'amore del protagonista che ritenne fu dio a prendere e che quindi visse la sua vita fra le donne ed il vino e proprio per questo fu arrestato, incredibile lo spunto di de Andrè che aggiunge che fu secondo il protagonista dio, diventato l'uomo arbitro del bene e del male a fare sprofondare, nel giardino dell'eden, l'umanità in uno stato di sogno apparente. Il protagonista concluse poi che non fu dio a farci sprofondare nel sogno, ma un qualcuno, che per noi, dio lo ha inventato.
"Un malato di cuore" racconta della vita di un ragazzo con problemi cardiaci. Racconta di un'esistenza vissuta all'insegna del rimpianto e dell' invidia. Invidia di non poter correre ne giocare assieme si suoi coetanei, che vivevano la vita con "coraggio". Il rimpianto svani solamente quando incontrò l'amore, istante in cui mori, baciando la ragazza tanto desiderata, d'infarto. Solo allora si accorse di morire per la vita e se ne andò felice.
"Un medico" ci dice che i sogni dei bambini e la loro bontà d'animo non sempre è adeguata alla società in cui viviamo: un bambino che divenne medico per desiderio di curare il prossimo, s'ammalò di povertà non chiedendo soldi ai malati troppo poveri per potersi curare. Perduta la moglie ed il rispetto mandò a morire tutti i suoi ideali, creando poi un falso elisir di giovinezza, il medico si fece quindi etichettare come truffatore ed imbroglione, anche se dottore.
"Un chimico" è il racconto di uno scienziato che paragona l'amore alle leggi della chimica, impaurito dalla sensazione e avendo vissuto tutta la vita senza sposarsi, mori senza essersi sposato, rendendosi forse troppo tardi conto, di non essere morto nel modo migliore e cioè amando.
"Un ottico" si propone di cambiare mestiere diventando "spacciatore di lenti" qui de Andrè fu abilissimo nel ricreare quella sensazione di venditore di "hashis" paragonando un ottico un po' svitato con uno spacciatore, canzone fra le più psichedeliche della sua discografia e forse anche una delle poche da non poter essere accompagnata alla chitarra.
Il disco ci porta infine "al suonatore Jones" un uomo che inneggiò alla vita vivendo di beni semplici dimenticandosi dei piaceri della vita, suonando più per gioia che per mestiere ed unica persona quindi del disco ad essere morta senza rimpianti, di vecchiaia proprio per la sua visione alternativa ed anticonsumistica della vita.
Musicalmente parlando il disco il disco è composto a quattr'occhi con Nicola Piovano (in seguito vincitore di un premio oscar per colonna sonora) ed è in assoluto il più complesso, meno acustico e psichedelico album del cantautore genovese rendendo infatti quasi impossibile la versione live di molte delle canzoni.
Un disco unico nel panorama italiano, Colto, Impegnativo, Poetico e forse il picco più alto del de Andrè poeta destinato ad avere un posto fisso nella collezione di dischi di qualsiasi amante della musica e/o della poesia. Pur descrivendolo credo sia impossibile cogliere appieno il significato di questa importante, mastodontica opera italiana, altro capolavoro di Fabrizio, forse il più grande cantautore italiano di sempre.
Anche adesso vi prego di essere impietosi coi commenti vorrei con umiltà imparare a scrivere belle recensioni, grazie a tutti gli utenti e... Alla prossima!
Elenco tracce testi e samples
03 Un giudice (02:55)
Cosa vuol dire avere
un metro e mezzo di statura,
ve lo rivelan gli occhi
e le battute della gente,
o la curiosità
d'una ragazza irriverente
che vi avvicina solo
per un suo dubbio impertinente:
vuole scoprir se è vero
quanto si dice intorno ai nani,
che siano i più forniti
della virtù meno apparente,
tra tutte le virtù
la più indecente.
Passano gli anni, i mesi,
e se li conti anche i minuti,
è triste trovarsi adulti
senza essere cresciuti;
la maldicenza insiste,
batte la lingua sul tamburo
fino a dire che un nano
è una carogna di sicuro
perché ha il cuore troppo
troppo vicino al buco del culo.
Fu nelle notti insonni
vegliate al lume del rancore
che preparai gli esami
diventai procuratore
per imboccar la strada
che dalle panche d'una cattedrale
porta alla sacrestia
quindi alla cattedra d'un tribunale
giudice finalmente,
arbitro in terra del bene e del male.
E allora la mia statura
non dispensò più buonumore
a chi alla sbarra in piedi
mi diceva "Vostro Onore",
e di affidarli al boia
fu un piacere del tutto mio,
prima di genuflettermi
nell'ora dell'addio
non conoscendo affatto
la statura di Dio.
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Altre recensioni
Di Grasshopper
Avevo otto anni: dei testi di Fabrizio De André non capivo nulla, Edgar Lee Masters non sapevo neanche che esisteva.
Questo disco è soprattutto un meraviglioso inno alla libertà.
Di let there be rock
Il disco è il manifesto dell’arte poetica e cantastoriale di Fabrizio.
Le musiche sono cariche di pathos e coinvolgono l’ascoltatore anche quando sono molto semplici.
Di enbar77
Senza dubbio la più maestosa opera di quel Fabrizio De André che ha voluto per forza abbandonarci prima del tempo.
Mi azzarderei a dire, senza dover subire troppi dardi di Paridiana memoria, che si tratta del più grande album di musica leggera italiana.
Di YC
Fabrizio De André è stato un poeta, prestato alla musica, che ha saputo esprimere tramite essa parole di una profondità pazzesca.
Un disco mai vecchio, perché racconta storie sempre attuali, un disco che non si perde nel tempo.
Di Bromike
Basta sentire la purezza e la rarità delle storie che il mito genovese racconta in brani come "Il suonatore Jones" o "Un ottico".
L'anello di congiunzione tra i cantautori compositori e i cantautori poeti era e sarà solo soltanto lui, almeno in Italia: De André.