Senza ombra di dubbio i Fairport Convention sono stati una delle più grandi realtà folk della scena britannica. La presenza di una cantante mostra inizialmente la band al pubblico inglese, come una "versione inglese dei Jefferson Airplane" (mai noi sappiamo che la differenza da questi è assolutamente rilevamente).

Il loro esordio risale al lontano 1968: Sandy Denny ancora non è una dei Fairport ed intanto Judy Dyble prende il suo posto. Fra gli altri troviamo Ian McDonald (qualcuno penserà ai King Crimson, ma le mie fonti dicono che questo avesse poi fatto parte dei Pyramids -chi ne sa qualcosa me lo faccia sapere), Richard Thompson, Simon Nicol, Tyger Hutchings, e Martin Lamble. Se uno pensa ai successivi capolavori della band, o anche all'ottimo "What We Did On Our Holidays", rimane piuttosto deluso all'ascolto di questo disco, il quale si presenta più legato alla canzone anni '60 e meno al folk tradizionale (e poi la voce di Dyble è inferiore a quella di Denny!).

A distanza di vari anni "Fairport Convention" merita una rivalutazione per la sua eccellente tracklist: è impossibile non cedere al fascino e alla carica del riff di "Time Will Show The Whiser", oppure al dylaniano "Jack O'Diamonds". Dalla leggerezza di "If (Stomp)" alla delicata ballata di "Decameron", dalla "pseudo-psichedelia" di "Lobster" al nervoso country di "Mi Breakdown", respiriamo l'aria dell'Inghilterra del 1968, sempre pronta a sperimentare nuove sonorità senza abbandonare la tradizione. Joni Mitchell firma "Chelsea Morning" e la stupenda "I Don't Know Where I Stand", punto cardine di tutta l'opera. Interessanti sono la strumentale "Portfolio" e l'omaggio a Dylan "It's Alright Ma It's Only Witchcraft".

Il successivo "What We Did On Our Holidays" si mostra oggettivamente molto più maturo e ricercato nei suoni, ma perde (anche se in minima parte) la spontaneità dell'esordio. Gli ingredienti saranno sempre gli stessi: cover di Dylan, brani di Joni Mitchell, qualche brano di produzione propria, più qualche traditional. Ma la nuova cantante, le chitarre più distorte e la maggiore professionalità ne faranno un'opera leggermente superiore alla precedente.

A parte questo, "Fairport Convention" è un album di ottimo folk elettrico, senza troppe pretese, che comunque non cade mai nella banalità di molte opere contemporanee. Con questo concludo, senza dilungarmi inutilmente in ulteriori approfondimenti.

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