'Pure Comedy' è il disco con cui Josh Tillman aka Father John Misty rompe ogni indugio e si propone prepotentemente alla ribalta come il più grande songwriter americano in circolazione

Una affermazione che può apparire eccessiva ma che chi ha apprezzato i precedenti lavori di questo artista e ne ha colto la indole, comprenderà avvicinandosi con la giusta e doverosa curiosità all'opera in questione.

Josh Tillman cresciuto in una confraternita della chiesa evangelica nei sobborghi di Washington DC e passato secondo le cronache negli anni attraverso diverse esperienze e conversioni religiose, ha una lunga carriera alle spalle. I suoi primi dischi solisti hanno cominciato a circolare all'inizio dello scorso millennio: una serie di produzione (8 in totale) di dischi folk visionari e psichedelici che hanno cominciato a far circolare e apprezzare il suo nome e le sue qualità artistiche sia come scrittore di canzoni che come musicista in tutto il continente nord-americano e che lo hanno conseguentemente portato a prendere parte attivamente al progetto Fleet Foxes dal 2008 e con i quali ha rilasciato 'Helplessness Blues' nel 2011 prima di mollare il gruppo e rilanciare da zero la sua carriera solista con il nuovo 'moniker' Father John Misty.

'Fear Fun' (Sub Pop Records/Bella Union) uscito nel 2012 è stato chiaramente uno dei dischi più significativi di quell'anno: Tillman in questo lavoro riprendeva la stessa attitudine folk psichedelica dei suoi primi lavori solisti e quella dei Fleet Foxes e abbandonava al contempo la caratterizzazione più lo-fi e essenziale e allo stesso tempo visionario e immaginifica del suo sound a favore di una produzione più attenta e composizioni più variegate e allo stesso tempo accattivanti ma senza abbandonare quel carattere messianico e spirituale tipico dei contenuti delle sue canzoni e che alla fine è diventato anche caratteristica della sua stessa figura.

La produzione e la distribuzione sotto etichette importanti come la Sub Pop Records e la Bella Union hanno fatto conoscere meritatametne l'artista al mondo intero: un cantautore che in un contesto dove band come i Fleet Foxes e i Mumford & Sons (ciascuno a loro modo) rilanciavano la musica folk americana, dimostrava non solo di avere capacità compositive superiori ai nomi citati, ma anche una presenza scenica molto più potente.

Una figura vincente sul piano mediatico e che tre anni dopo si riproponeva al pubblico con un nuovo disco, 'I Love You, Honeybar', che al cospetto di 'Fear Fun' è a mio parere decisamente inferiore e meno ispirato sul piano artistico e che definisco una vera e propria presa per il culo.

Le sonorità del disco sono artefatte, al limite del barocco e mischiate a quella che oggi viene definita folktronica in un trionfo di estetica indie che a questo punto, combinato a tutti gli aspetti legati alla sua figura e al suo aspetto, non potevano che fare 'strike'. Il disco fu praticamente acclamato come miglior disco dell'anno da numerose pubblicazioni su carta stampata e online. Abbondano i riferimenti a John Lennon e in generale alla cultura pop degli anni sessanta, il pensiero vola alla pop-art di Andy Warhol: J. Tillman sembra effettivamente un artista di quegli anni e sopravvissuto a quelli che possono essere stati riuscitissimi interventi di chirurgia estetica oppure un processo di crioconservazione e lo stesso vale per la sua musica che però qui è prepotentemente corrotta da inflazioni ricorrenti nella musica indie degli ultimi quindici-venti anni. Ma questo Tillman lo sa benissimo e se ne frega. Perché funziona.

Quello che gli restava da fare a questo punto era semplicemente consacrare se stesso, immortalare la sua figura e la sua stessa musica, crocefiggersi ad una croce come il più grande dei messia realizzando un disco che sarà per forza di cose discusso e che potrà essere considerato come il più grande disco della musica cantautorale americana degli ultimi anni e in questo senso la autentica reincarnazione dello spirito di John Lennon in primis, ma anche dello stesso paul McCartney, Elton John, Billy Joel, Rod Stewart e i Fleetwood Mac.

'Pure Comedy' è un concept album che racconta la storia di una specie umana con un cervello malformato. L'unica speranza di sopravvivenza di questa particolare 'specie' è quella di affidarsi completamente nelle mani di altre specie anch'esse limitate e nella creazione di diverse forme di struttura sociale denominate variamente come 'amore', 'cultura', 'famiglia'. I risultati di queste unioni si materializzano in risultati sempre più variegati e caleidoscopici: visioni immaginarie e allo stesso tempo ironiche e che diventano in qualche maniera la risposta di questi individui alla loro vulnerabilità.

Una visione in qualche maniera idealistica e che del resto tradisce la stessa visione del mondo di Josh Tillman, che evidentemente crede veramente di essere una specie di profeta, assorto lui - unico tra tutti - al ruolo di pop-star spirituale e intellettuale come potevano essere intese veramente le pop-star negli anni sessanta, quando parlare di musica e di cultura pop poteva significare anche discutere di società, guerra e religione.

'Pure Comedy' nei suoi eccessi, penso ad esempio a canzoni come 'Leaving LA' dalla durata di tredici minuti oppure 'So I'm Growing Old and Magic Mountain' (nove), è a partire dalla prima traccia, la title-track, una costruzione architettonica più di natura concettuale che musicale e che culminerebbe in una specie di culto della personalità (nel caso di Josh Tillman: la propria) come si vuole del resto che succeda nel caso in cui ci si ritrovi al cospetto di una autentica grande personalità del mondo dello spettacolo.

Registrato nel marzo 2016 nel cuore del mondo dello show-business, presso gli United Recording Studios di Los Angeles, il disco è stato anticipato da quattro singoli e da un micro-film di venticinque minuti co-diretto dallo stesso Josh Tillman con il regista Grant Hames e in cui chiaramente viene rappresentato parte del processo di registrazione del disco.

La produzione è al solito di Jonathan Wilson (Trevor Spencer si è aggiunto ai lavori in fase di mixaggio), un musicista che è allo stesso modo un omologo di Josh Tillman per quanto riguarda la devozione alle sonorità folk psichedeliche degli anni sessanta-settanta; il mastering è stato fatto da Bob Ludwig ai Gateway Mastering Studios.

Il disco ha una durata superiore a un'ora e in cui sono previste tredici canzoni, tutte legate tra loro dallo stesso concept e in cui Josh Tillman mostra tutte le sue capacità sul piano compositivo e le sue abilità relativamente le sue performance vocali, che sono effettivamente di alto livello qualitativo sia tecnicamente che sul piano espressivo; i brani sono la ricostruzione in forma musicale e orchestrale di una storia drammatica americana in perfetto stile hollywoodiano e dove si possono cogliere qua e là sfumature jazz e momenti di piano-rock vintage.

È un disco di rock and roll music inteso allo stesso modo in cui John Lennon poteva intendere le sue produzioni soliste meno sperimentali, praticamente quelle meno influenzate da Yoko: intelligente, persino intellettuale e allo stesso modo ispirato a una visione spirituale superiore e che collima con una certa bontà d'animo ideale, configurandosi come tale come un autentico messaggio al mondo occidentale.

Ma il titolo non è casuale.

Per quanto Tillman abbia voluto raccontare una storia drammatica, come potrebbe essere quella del concept o la trama di un film romantico, egli senza nascondersi (oppure no) più di tanto ha volutamente intitolare il suo disco 'Pure Comedy'. Come se tutte le grandi cose dell'umanità che egli ci ha voluto raccontare all'interno di questo disco alla fine non contassero e la sua serietà, il suo impegno, il suo sentimentalismo eccessivo fossero alla fine ancora una volta una presa in giro e lui dotato di una specie di sarcasmo superiore che noi evidentemente non possiamo e non dobbiamo comprendere, perché altrimenti la commedia finisce e ogni cosa perde senso.

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