Per parlarvi dei Faun Fables e di questo “Born Of The Sun”, è obbligatorio essere in grado di soddisfare due prerequisiti fondamentali: 1) non nutrire alcun astio per il flauto, in tutte le sue manifestazioni 2) aver visto almeno una volta il film “The Wicker Man” (non quella schifezza di una decina di anni fa, ma l'originale dei primi anni '70).

Perchè? Perchè di flauto ce n'è anche troppo lungo le dodici tracce che compongono “Born Of The Sun”, con relativo cotè di fricchettonismo spinto e medievalismo agreste d'ordinanza. E perchè quell'atmosfera pagana e un po' inquietante che pervadeva il sopracitato film culto e la sua colonna sonora si ritrovano sovente nei Faun Fables.

Ma chi cappero sono i Faun Fables? In pratica, e per semplificarvi la cosa, immaginatevi dei White Stripes folk pagani. Ecco, l'immagine è terribile, ma rende perfettamente l'improbabilità dei due. In verità progetto della cantante Dawn, emigrata dalla scena newyorchese di fine '90 e stabilitesi in California (ma va?) dove sembra aver trovato la sua personale Arcadia rurale e bucolica (storia che sembra tanto una copia 2.0 delle vicissitudini di una ritrovata folk singer dei 70, Vashti Bunyan).

Ma perchè, dopo tanti accenni non proprio positivi sul duo, mi ritrovo qui in una sciatta camera di albergo a Nocera Superiore alle 23 passate a scriverne? Perchè, mannaggia a loro, riescono nell'incredibile impresa di mantenere in equilibrio impossibile ingredienti che se maneggiati male potrebbero trasformarsi nel vostro nuovo incubo musicale. Quali sono questi ingredienti? Diciamo folk britannico nel periodo ritorno alla vita rurale (Sandy Danny, Fairport Convention e sodali), occultismo e soluzioni tendenzialmente inquiete e inquietanti (Comus e gli eredi Current 93), psichedelia agreste fra West Coast americana e filastrocche canterburiane.

Inoltre, sia le linee vocali che quelle strumentali, spesso scheletriche, restano immediatamente piantate nel cervelletto per giorni. Come il falsetto quasi irritante di “Madmen & Dogs”, oppure la chitarra distorta, gracchiante e tremendamente malinconica che pervade la bellissima “Goodbye” o infine la filastrocca per bambini indemoniati “Wild Kids Rant”.

Ovviamente la parte del leone la fa proprio Dawn, e il suo timbro potente ma allo stesso tempo soavemente melodico (e a volte tendente al diabetico, ma fa parte del pacchetto); in pratica un incrocio mutante fra Sandy Danny, Vashti Bunyan e Grace Slick.

Attenzione, l'ascolto prolungato potrebbe provocare aumento della peluria ascellare, soprattutto al gentil sesso.

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