Ho rivisto questo film “Roma” di Fellini (del 1972 …altri tempi, altra città) in un cinemino romano di serie Z e ho avuto un’irrefrenabile voglia di andarmene via da questa città. Ho visto “questa Roma” e per la prima volta ho meditato di andarmene da Roma.

Salutavo gli amici. Dove vai? Vado in culo alla luna. Ma che sei matto?
Me ne volevo andare da quella Roma puttanona, borghese, fascistoide, da quella Roma del “volemose bene e annamo avanti”, da quella Roma delle pizzerie, delle latterie, dei “Sali e Tabacchi”, degli “Erbaggi e Frutta”, quella Roma dei castagnacci, dei maritozzi con la panna, senza panna, dei mostaccioli e caramelle, dei supplì, dei lupini, delle mosciarelle…

Me ne andavo da quella Roma dei pizzicaroli, dei portieri, dei casini, delle approssimazioni, degli imbrogli, degli appuntamenti ai quali non si arriva mai puntuali, dei pagamenti che non vengono effettuati, quella Roma degli uffici postali e dell’anagrafe, quella Roma dei funzionari dei ministeri, degli impiegati, dei bancari, quella Roma dove le domande erano sempre già chiuse, dove ci voleva una raccomandazione…
Me ne andavo da quella Roma dei pisciatoi, dei vespasiani, delle fontanelle, degli ex-voto, della Circolare Destra, della Circolare Sinistra, del Vaticano, delle mille chiese, delle cattedrali fuori le mura, dentro le mura, quella Roma delle suore, dei frati, dei preti, dei gatti…

Me ne andavo da quella Roma degli attici con la vista, la Roma di piazza Bologna, dei Parioli, di via Veneto, di via Gregoriana, quella dannunziana, quella barocca, quella eterna, quella imperiale, quella vecchia, quella stravecchia, quella turistica, quella di giorno, quella di notte, quella dell’orchestrina a piazza Esedra, la Roma fascista di certi pariolini…

Me ne andavo da quella Roma che ci invidiano tutti, la Romacaput Mundi, del Colosseo, dei Fori Imperiali, di Piazza Venezia, dell’Altare della Patria, dell’Università di Roma, quella Roma sempre con il sole – estate e inverno – quella Roma che è sempre meglio di Milano (a parte i romani che sono al 60% coattoni…).

Me ne andavo da quella Roma dove la gente pisciava per le strade, quella Roma fetente, impiegatizia, dei mezzi litri, della coda alla vaccinara, quella Roma dei ricchi bottegai: quella Roma dei Gucci, dei Bulgari, quella Roma dove non c’è lavoro, dove non c’è una lira, quella Roma del “core de Roma”…
Me ne andavo da quella Roma del Monte di Pietà, della Banca Commerciale Italiana, di Campo de’ Fiori, di piazza Navona, di piazza Farnese, quella Roma dei “che c’hai una sigaretta?”, “imprestami un’euro”, quella Roma del Coni, del Concorso Ippico, quella Roma del Foro che portava e porta ancora il nome di Mussolini. Me ne andavo da quella Roma dimmerda!*

Poi il film è finito.

Ho tirato un sospiro benevolo e me ne sono uscito per Trastevere a cazzeggiare col mio fedele pitbull Stronko che si annusava qualsiasi cartaccia che ricopriva le stradine malsane del quartiere, a fischiettare “Roma non fa la stupida stasera…”.

E bravo Fellini, che con questo filmetto a metà strada tra il documentario e la commedia teatrale (di certo NON un capolavoro), riuscì a carpire il clima e l’anima di un’intera città, che pur facendo girare spesso i coglioni (e con la dovuta differenza temporale dagli anni 70 ad oggi) non finisce mai, di stupirci.

Nel bene e nel male.


*Un grazie a Remo Remoti e al suo storico “brano” (visibile QUI) e rimaneggiato per l’occasione…

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