Aspettavo al varco i Forgotten Tomb: osannati dalle riviste, concerti e recensioni esaltanti non mi avevano mai convinto, lasciandomi perplesso riguardo ad una proposta che trovavo fredda ed accademica, molto di maniera e poco di pathos. Questo disco ribalta chiaramente il mio giudizio, non tanto illuminando il passato, bensì facendo immaginare un futuro radioso. L'8 Gennaio è infatti uscito 'Negative Megalomania', quarto album in studio per la band piacentina, ormai giunta ad una maturità e ad un benessere economico tali da permettere un disco dalle composizioni lunghe e maestose, sorrette da una produzione mai così nitida e precisa.

Prima cosa da notare è l''evoluzione stilistica che ha interessato la band nel periodo compositivo post-Love's Burial Ground, un disco a mio avviso fiacco e povero di idee: una enuova linfa invade le tracce, articolate e sempre ispirate, mai ripetitive, finalmente colme di quel sentimento che non avevo ravvisato nelle recenti produzioni (cosa che accomunava i FT agli Spite estreme Wing).

"A Dish Best Served Cold" irrompe con irruenza, a simboleggiare la frattura con il passato della band: il doom blackeggiante degli esordi, evolutosi poi nei dischi seguenti tenendo sempre come punto fermo l'operato dei Katatonia, prende qui vie diverse, contaminandosi con reminiscenze alternative (poi spiegherò), sprazzi post-metal, un certo modo thrasheggiante di concepire il black metal (erroneamente definito "black'n'roll"). Il riferimento, quasi si sfiora il plagio nel riff d'apertura, è la produzione che ha interessato la seconda parte della carriera degli Shining, contemporanei forgiatori della scuola europea del Depressive Black Metal, intenti dal loro terzo album in una rilettura sporca e thrash del genere, piena com'era di mid-tempos, ripartente e riferimenti a quanto avevano fatto i Carpathian Forest.

Il risultato è migliore degli ultimi dischi degli svedesi, che mi erano parsi scevri delle idee geniali dei primi due album; in questa prima song degli italiani c'è un perfetto bilanciamento tra momenti veloci ed altri più riflessivi, pause e sfuriate, unito peraltro ad un songwriting che finalmente mi toglie ogni dubbio circa le qualità del gruppo.

Il resto del disco si compone di quattro tracce molto lunghe, tutte superiori ai dieci minuti, ma articolate in modo da risultare varie, fluide e scorrevoli; il disco è strutturato in modo da rappresentare un ideale distacco dall'estremismo dei capitoli precedenti. Tipico di un'infinità di gruppi è il ritorno a sonorità Rock/Metal, quasi si trattasse di un tributo agli ascolti giovanili, che han plasmato l'adolescenza di questi musicisti: i Forgotten Tomb non sfociano mai in territori hard rock, sia chiaro fin da subito: però inseriscono una miriade di riferimenti ad un panorama molto anni '90, dal grunge più raffinato (e meno "grunge") di Soundgarden ed Alice In Chains, alla svolta che caratterizzò i "secondi" Katatonia, passando per inserti e riff di sano Heavy Metal sabbathiano.

Il gioiello del disco, non a caso posto al centro come pietra miliare e simbolo dell'evoluzione in corso è la stessa title-track, uno dei brani più belli che mi sia capitato di ascoltare in campo estremo: un'infinità di variazioni e particolari rende "Negative Megalomania" molto di più che una semplice canzone Metal; è la perfetta compresenza di elementi Rock ed elementi Estremi a conferire al brano quell'aria sporca ed al tempo stesso sognante. Bellissima la sezione finale dominata dalle solista, che insiste con un riff prolungato, che diventa un vero e proprio assolo conclusivo, melodico e malinconico nella sua essenza intima. Se il tasso tecnico della band rimane sempre alto, ma mai ostentato, la vera nota sorprendente è la prestazione vocale di Herr Morbid: buona l'usuale prova in screaming, senza sbavature e qui più lineare, meno invadente nei confronti della musica; la cosa geniale è la massiccia presenza di clean vocals, che conferiscono al disco un senso più "metropolitano" del dolore, sempre meno disperato e più malinconico. Queste linee di voce pulite poi conoscono una varietà davvero significativa, alternandosi tra momenti più recitativi, ad una ("No Rehab") o più voci ("The Scapegoat"), o cimentandosi in un prestazioni più toccanti e rock (la title-track), dove aleggia lo spettro di una Layne Staley in pieno trip depressive.

Notevoli le partiture chitarristiche, sia per i riff che per gli assoli: sottili e raffinati gli arabeschi che si vengono a creare tra la solista e la ritmica, a volte sdoppiate in più linee. Tutto ciò concorre a dare al disco uno status di opera superiore che difficilmente stancherà, sfoderando una sincerità assente, sempre a mio avviso, nei dischi precedenti, più viscerali ma forse più manieristici.

Elenco tracce e video

01   A Dish Best Served Cold (07:49)

02   No Rehab (Final Exit) (11:47)

03   Negative Megalomania (11:40)

04   The Scapegoat (11:39)

05   Blood and Concrete (14:06)

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