Nonostante lui stesso abbia recentemente affermato di non gradire quella definizione, tutt'oggi De Gregori (più di Paolo Conte o De Andrè) rappresenta il prototipo di "cantautore" italiano, per il suo modo di comporre e interpretare le canzoni, utilizzando testi ricchi di metafore mai fuori posto, anzi spesso impressionanti nella loro precisione, e accompagnandoli con una musica quasi anarchica nella sua complessità, pur affidandosi quasi sempre a strumenti tradizionali. Gli anni precedenti a questo disco furono i più fertili nell'intera carriera compositiva di De Gregori, con tre dischi "e mezzo" ("Theorius Campus", il primo, diviso con Venditti), dischi (soprattutto i primi due e mezzo) profondamente adolescenziali ma già compiuti, intensissimi, personali. In loro è pulsante e visibile l'atteggiamento di De Gregori, che senza farsi tanta pubblicità rifiuta sistematicamente i compromessi con il mercato discografico e con i gusti del pubblico.

In quegli anni andava di moda addossare a De Gregori l'appellativo di "ermetico", appunto per i suoi testi misteriosi, con Marianna che camminava con il sole nei capelli aggrappata a un paradiso di stagnola ("Marianna al bivio", 1973), e con Alice che non capiva bene tutto quel casino attorno a lei. De Gregori, pur detestando la superficialità dei critici, non si scompose, e nel 1974 pubblicò il suo disco più personale e intimo, intitolato "Francesco De Gregori", quello con la pecora, o caprone che sia, in copertina. In questo disco prima affermava laconicamente che nelle sue canzoni non c'è niente da capire, poi lasciava libere le ali della sua fantasia introspettiva in canzoni ancora più enigmatiche delle precedenti, maledettamente belle ma testimoni di un disco suicida dal punto di vista commerciale. L'anno dopo arrivò "Rimmel", che lo catapultò come star della musica leggera italiana, senza, probabilmente, che lui avesse desiderato niente di simile. Bisognerebbe tornare al 1975 per capire quanto sia stato difficile per il Principe registrare un seguito di Rimmel senza stravolgere la sua arte o cadere nel ripetitivo. De Gregori confiderà in futuro: ""Bufalo Bill" è questa mia croce e delizia: ecco, se potessi probabilmente lo rifarei curando meglio i suoni e gli arrangiamenti. Lo feci in quel modo, scarno ed essenziale, per punirmi di aver fatto Rimmel che aveva venduto troppo… roba da matti!" Sta di fatto che il disco è splendido, ispirato, rivoluzionario (si, rivoluzionario) nella ricerca delle armonie e di testi che affrontano in maniera ellittica gli argomenti, utilizzando metafore evocative e matematiche nella loro precisione. E in più – aspetto che pochi hanno notato – è compatto e pulito nei suoni, ed eravamo nel '76. In questo disco le canzoni, rispetto a quelle passate, più intense e personali, acquistano una limpidità e un'ampiezza espressiva straordinarie e una capacità di trasportare l'ascoltatore verso suggestioni impalpabili e indescrivibili (ciò accade in "Atlantide" e "Ninetto e la colonia"), così come la voce, perfetta nell'intonazione un po' nasale e a tratti irriconoscibile in confronto ai dischi precedenti. L’ uso del pianoforte al fianco della chitarra, già sperimentato in "Rimmel", qua migliora ulteriormente in coordinazione e armonia. Le canzoni:

"Bufalo Bill"

Malinconica metafora dell'apertura degli orizzonti in America (poi rivelatasi controproducente), verso il lontano ovest, in cui anche un uomo vero come Buffalo finisce per diventare un fenomeno da circo. La musica è splendida, sorretta all'inizio da una cascata in sordina di pianoforte, che verrà successivamente accompagnato e leggermente sovrastato dalla chitarra, che nel finale lascia il posto a uno splendido assolo di piano. Il testo si muove per immagini ampie, e rifiuta la convenzione pop del ritornello.

"Giovane esploratore Tobia"

Scritta in collaborazione con Lucio Dalla; la musica è piacevole ma niente di mirabile, il testo parla di un boy-scout e della passività della sua vita. "Quello che fa paura dei giovani esploratori è l'inconcludenza; loro imparano ad accendere i fuochi […]. Io ho emblematizzato il personaggio dello scout […] quello che deve fare la buona azione quotidiana […] Tobia è una persona che tutto sommato sogna, che ha grossi problemi alle spalle di infanzia pulita, precisa, sola, probabilmente nevrotica, che fa queste cose scontate."

"L'uccisione di Babbo Natale" è – dalle stesse parole di De Gregori – la sua unica canzone "amorale"; racconta la fine dell'infanzia e delle illusioni a essa legate (o forse il finto borghese che si ribella e insieme alla proletaria uccide la borghesia e poi da lei torna?). Il testo è splendido, e De Gregori conferma tutta la sua abilità nel lanciare messaggi appena annunciati ma graffianti e trasversali, in un'atmosfera favolesca.

"Disastro aereo sul canale di Sicilia" è un capolavoro di lungimiranza politica ("Risulta peraltro evidente/ anche nel clima della distensione/ che un eventuale attacco ai Paesi Arabi/ vede l'Italia in prima posizione), abilità melodica (splendida la musica in continuo crescendo emotivo), e nel comporre i testi ("E la fabbrica di vedove volava/ sola, come un uccello da rapina/ Il mare era una tavola azzurra/ ormai l'Africa era già più vicina").

Nell’enigmatica "Ninetto e la colonia" il suono si fa più ritmato e il testo è ispirato, ermetico (appunto…), con probabili richiami a Garcia Marquez ("E sotto un fondale di stelle/ gli impiegati della compagnia/ rubarono tutta la frutta dagli alberi/ e la portarono via").

Ma è con "Atlantide" che il disco tocca il suo apice. Parole malinconiche ma dolcemente distaccate (e frasi che pochi avrebbero utilizzato: "Lui adesso vive ad Atlantide/ con un cappello pieno di ricordi/ ha la faccia di uno che ha capito/ e anche un principio di tristezza in fondo all'anima/ nasconde sotto al letto un barattolo di birra disperata/ e a volte ritiene di essere un eroe") e piano e chitarra a fare da dolce tappeto sonoro, dispensatore di intense suggestioni oniriche e subacquee. Sembra veramente di stare sott'acqua, ad Atlantide.

Si diventa apparentemente ripetitivi ed eccessivamente generosi nel descrivere questo disco, ma le seguenti "Ipercarmela", "Ultimo discorso registrato", "Festival" (dedicata alla morte, avvenuta in circostanze dubbie, di Luigi Tenco e soprattutto alla reazione dell'Italia), sono anche, inequivocabilmente, canzoni bellissime.

"Santa Lucia", chiusura del disco, è una splendida piano-voce, una preghiera laica sorretta da frasi sincere ed immense ("Santa Lucia / il violino dei poveri/ è una barca sfondata/ e un ragazzino al secondo piano/ che canta ride e stona /perché va da lontano/ fa che gli sia dolce/ anche la pioggia nelle scarpe/ anche la solitudine”) . La melodia è fra le più orecchiabili del disco, mantenendosi però a larga distanza dal banale e dallo stucchevole.

La maturità di De Gregori e la sua coerenza sono espresse magnificamente in questo disco, il più completo della sua intera produzione.

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