Quest'uomo non finisce mai di stupirci: hai voglia di dire che ormai da più di un ventennio si è convertito alla forma-canzonetta, ma in realtà non ha mai smesso un attimo di sperimentare. C'è qualcun altro capace di infilare frasi come "supererò le correnti gravitazionali" o "conosco le leggi del mondo e te ne farò dono" in una delle più belle canzoni d'amore degli anni '90 ("La cura") senza far ridere i polli, ma al contrario riuscendo lo stesso a commuovere ? E non potrebbe essere altrimenti: basta ascoltare il tema sinfonico dell'orchestra d'archi che a più riprese accompagna i versi, ispirati anche se un po' ostici. E si può ancora definire canzone una cosa come "Ein Tag aus dem Leben des kleinen Johannes", in cui dolci note di un pianoforte da Lied ottocentesco si fanno largo tra gli ottusi battiti di una dozzinale drum-machine? In una una selva di versi e borbottii in tedesco, si intravedono la manina e i morbidi riccioli castani di un piccolo Johannes (Brahms ? Nell'immaginario di noi classicomani appare sempre maturo e con una barba maestosa come le sue sinfonie, ma sarà stato bambino anche lui...).

 Il geniaccio innovatore è sempre attivo, e come se non bastasse è in azione un altro cervello, quello del vecchio filosofo Manlio Sgalambro, che con il suo vocione cita Eraclito, rigorosamente in greco, per dirci la cosa più ovvia del mondo, ma anche quella che si dimentica più spesso: che siamo tutti "Di passaggio". Filosofia e canzone: sembra roba da pazzi, ma con questi due (pazzi ? no, solo originali) il connubio funziona. E l'idea di far procedere due canzoni quasi parallele, per intrecciarle solo alla fine, quando a "Strani giorni" si sovrappone "Strange Days", a chi poteva venire, se non a Battiato? Si avverte il contrasto tra un motivo nostalgico, piuttosto anni '60, e un ritmo implacabile (qualcosa di simile alla vecchia "Cuccuruccucu") eppure è un contrasto che non stride.

 Del resto Battiato è un po' il Mahler della canzone: così come il compositore boemo era capace di trarrre sublimi melodie da motivi di organetto, così il nostro è capace di sfruttare al meglio quelle che lui stesso ha definito "immondizie musicali". L'accostamento tra il celestiale e il trito è una sua costante, e ce ne sono esempi anche in questo disco. "Amata solitudine" parte con rarefatte note pianistiche e atmosfera sognante per evolversi in un ritmo sincopato, quasi reggae, che però non soffoca mai del tutto la dolcezza dell'inizio, che riemerge alla fine del brano. Le migliori cartucce vengono sparate tutte all'inizio, per cui il finale in parte delude: la qualità si mantiene alta solo grazie al cupo fascino, molto moderno e poco portoghese, di "Segunda feira" e al patetico accompagnamento orchestrale che evoca i ricordi d'infanzia in "Memorie di Giulia". Nel complesso resta un ottimo disco e soprattutto, ancora una volta, molto originale.

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