Volete l’ennesima new sensation che cavalca l’onda sonora più in voga, il gruppetto per la vostra cerebrale dancefloor patinata, desirate quintalate qualunquistiche per sentirvi postsnob svampiti possibilmente falliti? I French Films hanno la ricetta per voi: 40% di Drums, 30% di Cure, 25% di Joy Division e 5% di Smiths. Condite con luci stroboscopiche, calzature vintage, rayban e magliettine a righine. Otterrete così 5 bontemponi finlandesi biondo cenere che si dilettano a produrre crisi epilettiche synth-garage.


Ora la questione cambia: perché se ci si sforza di ascoltare a mente sgombra senza pregiudizi facendo a meno di sparare puttanate, dal sound di questi ragazzi non si può non rimanere colpiti. Motivo? Innanzi tutto un’immediatezza pressoché perfetta delle strutture melodiche, la spiccata ballabilità scandita dagli elevati bpm, i delay immancabili delle chitarre che avvolgono le canzoni in coltri oniriche. Il synth, i coretti, il cantato grave e sensuale scoccano la stoccata finale in quella che pare a tutti gli effetti una riuscita trasposizione di sensazioni in musica. Impossibile non immedesimarsi in queste melodie che si danno un tono epico pur sapendo di giocare con l’ascoltare, assumono profondità inaudite nella loro tragicomicità. Vi capiterà allora d’immaginarvi universi paralleli, di proiettarvi nel lungometraggio dei vostri ricordi con colori nuovi, in preponderanza cangianti.


Il ballo parte a passo prepotentemente scandito, quasi svogliato, ritagliando solchi nella memoria con “This Dead Town”; una scheggia di dopamina e un santa fè sgualcito col quale giocavamo pacchianamente in spiaggia fanno da contorno a “You Don’t Know”, mentre la quasi romantica “Golden Sea” acquista il sapore delle nuove scoperte più che delle vecchie sconfitte. “The Great Wave Of Light” è di una tenerezza che fa male e la nudità granitica di “Living Fortress” è il suo contraltare perfetto. L’allegria sacrale delle messe forzate dai parenti in “Escape In The Afternoon” precede la schizofrenia di pomeriggi d’esistenza lasciata macerare sotto il sole della fanciullezza in “Convict”. Ci concediamo volentieri la frivolezza di “New Zeland”, dopodiché arriva il momento del congedo e l’intro di “Up The Hill” pare più un addio che un arrivederci: “Look up the hill and see, there is still that tree and it will bloom again, just like any other year”, consapevoli della volubilità che governa il mondo e che muove l’essere umano, solo la certezza che tutto vada comunque come deve andare ci solleva.

E’ così che 5 biondi ingurgita xylitolo hanno scritto un capolavoro qualunque, in un giorno qualunque, su di una stella qualunque d’una galassia qualunque.

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