Esistono dei flop che alla lunga si rivelano una vera benedizione. Proviamo a tornare nel 1969, all'uscita di questo "From Genesis To Revelation" e immaginiamo un esordio con il botto, tipo "Led Zeppelin I", o "In The Court Of Crimson King", tanto per fare due esempi dello stesso anno di grazia. Probabilmente il nome Genesis non sarebbe più diventato sinonimo di progressive rock nella sua forma più perfetta, di complesse suites ricchissime di fantasiosi temi melodici, ma sarebbe rimasto legato ad un pop di facile ascolto, magari di classe, ma pur sempre sfacciatamente commerciale. Ironia della sorte, proprio quello che i Genesis avrebbero prodotto più o meno a partire dagli anni '80, con l'imporsi definitivo della svolta canzonettistica di Phil Collins, che non faceva neanche parte del nucleo originario.

Per fortuna all'epoca questo disco fu acquistato da pochi intimi, probabilmente amici e familiari dei giovanissimi Genesis, ancora freschi di collegio, e oggi costituisce una specie di curiosità per gli appassionati di questo storico gruppo, un po' come le composizioni di Mozart bambino per i mozartiani (e io appartengo ad entrambe le categorie). Il suo valore è quindi poco più che affettivo: ascoltare le 13 brevi canzoni (estese a 19 nel CD con altro materiale di quei tempi) dà un senso di tenerezza, ma si coglie anche un'estrema immaturità, ed è ovvio, visto che Peter Gabriel, Tony Banks, Mike Rutherford e Anthony Phillips avevano, chi più chi meno, 18 anni, età in cui è consentito prendere cantonate a chiunque (per esempio De André a quell'età modugneggiava con le "Nuvole barocche"). Eppure qualche segno della futura classe affiora: prima di tutto la voce di Peter Gabriel, che in pratica è già lei, con quel perfetto equilibrio tra vellutato e metallico che conosciamo. Ogni tanto riesce a farsi largo anche la tecnica già cristallina del pianista Tony Banks, di formazione classica, ma per gli strumentisti la faccenda si fa più dura, e qui il colpevole ha nome e cognome: Jonathan King, produttore di questo disco. Se costui da un lato ebbe il merito di puntare su questo "embrione di Genesis", volle però influire pesantemente sul suo sviluppo, e lo fece sommergendo ogni possibile spunto personale di questi ragazzi già piuttosto dotati con pesanti arrangiamenti orchestrali, con la classica coltre di violini che copre e impasta quasi ogni tentativo di originalità. Non è un caso che siano soprattutto i brevi intermezzi tra un brano e l'altro, quando finalmente gli archi tacciono, a darci una vaga idea di come suonava questo gruppo in formazione.

Difficile trovare un brano che spicca, anche se ce ne sono alcuni dal motivo indubbiamente piacevole ("The Silent Sun", "That's Me", "Am I Very Wrong?", "Window") ma un po' troppo sempliciotti per portare in modo credibile la sigla Genesis. In alcuni casi ("Fireside Song", "In Hiding") il miele cola in quantità industriale, e si sfiora una pericolosa somiglianza con la ben nota melassa dei Bee Gees. Tutto sommato questa falsa partenza da parte di un gruppo di diciottenni appena usciti di collegio ci può stare; quel che invece è incredibile è che già dall'anno dopo il suono Genesis apparirà già quasi perfettamente formato nell'ottimo "Trespass". Quale sconvolgimento sia avvenuto tra il '69 e io '70 nelle menti di questi musicisti in erba non ci è dato saperlo, ma sicuramente un ruolo importante deve averlo giocato questo provvidenziale flop.

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