Phil Collins: Voce e Batteria

Anthony Banks: Tastiere

Mike Rutheford: Basso e Chitarre

Daryl Stuermer: Chitarre 

Chester Thompson: Batteria 

Disco 1:

1) "Duke's (Intro)";

2) "Turn It To Again";

3) "No Son Of Mine";

4) "Land Of Confusion";

5) "Medley: In The Cage, The Cinema Show, Duke's Travels";

6) "Afterglow";

7) "Hold On My Heart";

8) "Home By The Sea";

9) "Follow You, Follow Me";

10) "Firth Of Fifth";

11) I Know What I Like.

Disco 2:

1) "Mama";

2) "Ripples";

3) "Throwing It All Away";

4) "Domino";

5) "Conversation With 2 Stooles";

6) "Los Endos",

7) "Tonight, Tonight, Tonight";

8) "Invisible Touch";

9) "I Can't Dance);

10) "The Carpet Crawlers".

I Genesis avevano avviato la propria autodistruzione nel 1986 con la pubblicazione di "Invisible Touch", un disco che presentava canzonette pop di bassa lega, delle quali si salvavano solo i singoli "Invisible Touch" e "Land Of Confusion", abbandonando "Domino" al triste e troppo ampio uso della batteria elettronica, con un suono che la avvicinava molto ad un sound da discoteca. Il successivo "We Can't Dance" (1991) confermava i segnali di crisi e decretava la fine dei Genesis sperimentatori, tecnici e veri musicisti, per lasciar posto ad un gruppo pop da quattro soldi, capace di reggersi sulla sola "Jesus He Knows Me", che puntava molto su una melodia orecchiabile per il lancio in radio, assieme alle penose "I Can't Dance" e "Hold On My Heart". Seguirono due inutili live e l'abbandono, nel 1995, di Phil Collins, Daryl Stuermer e Chester Thompson, per lasciare il nome Genesis nelle mani di Anthony Banks e Mike Rutheford, che reclutarono il cantante Ray Wilson e i batteristi Nick Di Virgilio e Nir Zydkyahu. Il risultato è "Calling All Stations" (1997), di gran lunga il peggior disco della storia del gruppo, al punto da essere definito imbarazzante. La monotonia delle musiche, dei testi e della sezione ritmica, priva del talento divino di Phil Collins per la prima volta dopo 26 anni, fanno si che l'album, la campagna pubblicitaria e il seguente tour siano un flop oltre ogni previsione, tanto da portare Banks e Rutheford a sospendere il tour e a dichiarare di mettere fine al tour per non determinare una fine tanto ingloriosa del nome "Genesis".

Da Allora i fan dei Genesis hanno patito un'astinenza forzata in attesa di una reunion, limata dall'uscita di due collezioni e di due cofanetti di inediti: "Genesis Archive 1969 - 75", con la trasposizione live dell'intero "The Lamb Lies Down On Broadway", altri live e qualche inedito, tutto inerente al periofo con Gabriel, e "Genesis Archive 1976 - 1992", che testimonia l'entrata del gruppo prima nel territorio del pop e poi in quello della discoteca. Tutti hanno sempre sperato in una reunion della formazione storica (1971 - 75), comprendente anche Steve Hackett e Peter Gabriel, e dopo parecchie interviste e smentite ufficiali, nel novembre 2006, Collins, Banks e Rutheford annunciano la programmazione per il 2007 del "Turn It To Again Tour", che toccherà Europa e America con una quarantina di show in totale. Il tour è un successo e il punto massimo è al concerto gratuito di Roma, dove, al Circo Massimo, suonano davanti a 500.000 persone in delirio. Il tutto viene documentato in questo disco, che testimonia il ritorno di un gruppo ancora affiatato e capace, in cui il peso dell'età dei componenti non è sentito che in minima parte. La scaletta va da "Selling England By The Pound" a "We Can't Dance", con un ottimo mix tra pezzi progressive per i fan più esigenti e i brani migliori del periodo pop, in alcuni casi opportunamente rivisitati. La scaletta è presentata nel disco esattamente come era proposta nei concerti, con ogni canzone presa dal concerto in cui era stata eseguita meglio, con prevalenza delle tappe di Roma e Manchester.

Si apre con un pezzo che unisce alla perfezione melodie pop accattivanti e passaggi strumentali degni dell'era progressive del gruppo, e cioè "Dukes (Intro)", che sarebbe "Behind The Lines", prima traccia dell'album "Duke", del 1980, qui resa alla perfezione, se non migliorata nella miglior resa sonora delle tastiere e con una sezione ritmica dalle sonorità più incisive, per poi proseguire senza un secondo d'intervallo con "Turn It To Again", adornata di nuova linfa vitale, costituita dalla vitalità di un gruppo in cui l'età media è sui 50, anche se ciò che viene proposto qui incanta il pubblico, letteralmente in delirio. Sulla terza piazza disponibile è collocata "No Son Of Mine", più intrisa di rock rispetto all'originale, con una sezione ritmica tenuta maggiormente in considerazione, per proseguire con un'altro brano dell'era pop, e cioè "Land Of Confusion", suonata con più aggressività rispetto all'originale, con un Chester Thompson che dimostra di non avvertire affatto l'avanzare dell'età, e che mantiene intatta la propria musicalità, come fosse un metronomo umano, non perdendo un colpo. Al quinto posto del primo disco prende posizione un medley che comprende "In The Cage", dall'album "The Lamb Lies Down On Broadway", meno incisiva rispetto all'originale, con Collins che non riesce a toccare le vette della voce di Gabriel, ma che si rifà ampiamente nell'aggancio a "The Cinema Show", uno dei brani più amati dai fan d'ogni tempo, per passare a qualcosa che metta d'accordo tutte le generazioni presenti all'evento, con "Duke's Travels", che conclude degnamente il medley.

Arrivano poi la pastorale "Afterglow" (1977), la melensa "Hold On My Heart" (1991), "Home By The Sea" (1983) e la prima "canzoncina" dei Genesis, e cioè "Follow You Follow Me" (1978), per poi passare a quello che è probabilmente il pezzo più amato della loro storia: dopo "Follow You Follow Me" la batteria di Chester non interrompe il proprio ritmo e introduce l'intensissima "Firth Of Fifth", mozzata come sempre della parte cantata e privata dei suoni originali delle tastiere di Banks, ,a non per questo indegna dell'ascolto ma, anzi, sempre straordinaria e imperdibile, con Stuermer che ci regala un bellissimo e intenso assolo, mantenendosi, a grandi linee, sull'originale di Hackett, di cui comunque non riesce a catturare la magia. Quando termina questo grandissimo pezzo, Collins attacca con il suo tamburello e da il via ad una buonissima "I Know What I Like", resa magnificamente e posta in chiusura del primo disco. Al secondo disco da il via l'intro elettronico di "Mama" (1983), uno dei migliori brani dell'era pop, che apportò non poche novità al genere, con la risatina di Phil ad incorniciarla al meglio in questo prestigioso palcoscenico, per proseguire con la suadente e appassionante "Ripples", in cui Phil Collins offre una buonissima prova vocale, commuovendo il pubblico, evocando le sue prime esperienze da vocalist ("Ripples" era la seconda traccia dell'album "A Trick Of The Tail", del 1976, primo con Collins alla voce). Segue un duo preso di peso dagli anni 80, e cioè "Throwing It All Away" (1983) e "Domino" (1986) che, privata dell'eccessivo uso di batteria elettronica, riesce a piacere in questa sorprendente versione.

Arriva poi l'atteso duetto di batteria tra Phil e Chester, che dimostra lo straordinario talento dei due, con, fin dall'introduzione sullo sgabello alla batteria, Phil più tecnico e Chester più votato alla musicalità dei propri colpi, per un duetto che conferma i due tra i migliori batteristi al mondo. Si arriva così a "Los Endos", commovente quanto "Ripples", dello stesso album, e suonata con lo stesso impegno e la stessa nostalgia, cioè esattamente quanto richiesto dal pubblico. Segue il terzetto pop introdotto dalla lenta "Tonight, Tonight, Tonight", che si aggancia ad una caricatissima "Invisible Touch", in cui Collins, da gran frotman, incita il pubblico, che segue a ruota il proprio idolo sulle note di uno dei successi più amati del gruppo nell'era pop, seguito da "I Can't Dance", che riesce ad esere accettabile per l'entusiasmo di ognuno dei musicisti e perchè a questo punto del concerto ogni canzone sembrerebbe straordinaria... Arriva la commovente chiusura con il classico "The Carpet Crawlers", tratto dal concept "The Lamb Lies Down On Broadway", che tocca livelli di intensità, di nostalgia, di tecnica e di professionalità da parte dei cinque che la rendono degna di essere posta in chiusura di questa straordinaria esperienza, di cui nessuno, volente o nolente, potrà negare la bellezza.

I Genesis erano ormai considerati musicisti allo sbaraglio senza più arte nè parte, e io direi che con questo disco sono riusciti a smentire per l'ennesima volta i loro detrattori. Si sarebbe potuto inserire anche qualche pezzo da "Nursery Crime" e "Foxtrot", ma ci possiamo più che accontentare di questo bellissimo doppio che coinvolge fan di ogni epoca e, in fin dei conti, restituisce alla storia della musica un grandissimo gruppo, sempre sperando che un giorno anche Gabriel e Hackett vogliano tornare a farne parte, e magari darci un nuovo capolavoro...

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