The Lamb Lies Down On Broadway, uscito nel 1974, è l'ultimo album della band nella sua formazione originale prima dell'uscita di Peter Gabriel e rappresenta molto probabilmente il loro album più moderno e "progressive" nonostante, in alcuni passaggi, soprattutto del secondo disco diventi un po' prolisso.

Per parlare dell'album bisogna partire dalla copertina, capolavoro dello studio Hipgnosis, che ci catapulta da subito nel mondo labirintico, claustrofobico e dantesco del concept su cui si basa l'album in cui Rael (da Gabriel e anagramma di Real), il protagonista, si trova sin da subito in un mondo sotterraneo e onirico in cui incontrerà diversi personaggi bizzarri e spaventosi e si troverà a doversi confrontare con le proprie debolezze e con il proprio Io dissolvendosi alla fine in una nebbia purpurea. Peter Gabriel nella stesura del concept si ispirò sicuramente alla Divina Commedia per quanto riguarda l'impostazione dell'opera, alla mitologia greca per i personaggi e persino al surrealismo del film El Topo di Jorodowski. Mi piacerebbe soffermarmi nuovamente sulla modernità del sound, dopo aver ascoltato The Waiting Room, pensare che i Genesis siano la stessa band che l'anno precedente fece uscire Selling England by the Pound rende evidente il desiderio della band e soprattutto di Peter Gabriel di espandere i propri orizzonti musicali ed allontanarsi in un certo senso da quelle caratteristiche che rendono prolisso il progressive sinfonico, cioè i lunghi passaggi strumentali e testi (nel caso dei Genesis) a volte troppo pretenziosi o a volte troppo ironici. Molto probabilmente questo tipo di sonorità è dovuta alla presenza di Brian Eno nello studio di registrazione che ha contribuito sicuramente alla stesura dei pezzi più innovativi del disco, ma soprattutto il contributo principale è proprio quello di Peter Gabriel che pur non avendo partecipato alle registrazioni dell'album essendo impegnato nella trascrizione del concept, anticipa in un certo senso con questo album il percorso sperimentale intrapreso nella sua carriera solista. Basti pensare che l'album in questione rappresenta solo una parentesi nel percorso stilistico della band, che con l'abbandono di Gabriel ritornerà alle sonorità precedenti a The Lamb con A Trick of the Tail.

I Genesis in questo album si trovano all'apice della propria carriera: Peter Gabriel dà libero sfogo al suo genio scrivendo alcuni dei testi più originali e ricchi di simbolismo della sua carriera, Tony Banks e soprattutto Phil Collins ineccepibili, Hackett nonostante i pochi interventi riesce ad inserire in The Lamia uno dei suoi migliori assoli. L'apice creativo del gruppo viene a galla soprattutto durante i concerti, la band rappresenta il concept attraverso uno spettacolo fatto di luci e di costumi indossati da un Gabriel mai più così istrionico.

L'album, come penso già sappiate, è un doppio: il primo disco si apre con l'incipit di pianoforte di Tony Banks che trasporta l'ascoltatore istantaneamente nell'atmosfera del concept e continua con alcuni dei pezzi più conosciuti e belli dell'album come In The Cage, Carpet Crawlers e The Chambers of 32 Doors ed è sicuramente il più immediato; sul secondo disco invece troviamo il tocco di Eno e alcuni strumentali che permettevano più che altro a Gabriel di cambiare travestimento durante i concerti. Nonostante questa discontinuità e qualche calo di qualità soprattutto nell'ultima facciata, preso nel suo insieme l'album risulta tra i concept più riusciti degli anni '70 e di sempre, contenendo alcune delle canzoni più belle della loro discografia. Tra le tante tracce vorrei evidenziare Back In N.Y.C., canzone grezza e diretta, che ancora più di The Waiting Room ci fa capire la strada che i Genesis con Gabriel avrebbero potuto percorrere, con la ormai fine del periodo d'oro del progressive rock.

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