Non è stato semplice farsi un’idea di questo disco: quello che si può dire al primo ascolto è che non si tratta di un’opera convenzionale. Maroccolo si è avvalso per la sua realizzazione della collaborazione di alcuni degli artisti più significativi del panorama musicale italiano attuale. Naturalmente il giudizio su ogni brano è fortemente influenzato dalla predisposizione verso ciascun interprete e di questo risente il giudizio globale sull’opera, che comunque è senza dubbio l’onesta realizzazione di un progetto ambizioso. Oltre ai vecchi amici di area fiorentina (Andrea Chimenti, Federico Fiumani, l’ex compagno di viaggio nei Litfiba Pelù) ci sono Franco Battiato, Raiz degli Almamegretta, Cristina Donà, Manuel Agnelli, Cristiano Godano, Ferretti, la Di Marco, Fiamma e anche qualche altro nome un po’ più sovraesposto (in particolare penso all’odiatissimo – da me – Cherubini e alla Consoli, che ormai mi sta cordialmente sulle scatole). Come si vede, i partecipanti al progetto sono variamente assortiti, quindi ci si potrebbe ragionevolmente aspettare una certa disomogeneità nel suono. Maroccolo ha invece scritto con ogni interprete dei brani fortemente caratterizzati dalle attitudini di ciascuno, riuscendo comunque nel difficile intento di tirare le fila del lavoro in modo unitario, permeando l’intero cd della medesima atmosfera rarefatta, imperniata sulle melodie di basso (e non avrebbe potuto essere altrimenti, trattandosi di Maroccolo) ma non solo...
Il risultato ha una certa unità, le cui caratteristiche sono gli arrangiamenti quasi discreti, nel lasciare un ruolo centrale alla voce e alla linea di basso; il generale tono intimista delle composizioni, non gridate, ma cantate da quasi tutti gli artisti a mezza voce.

La produzione è raffinata: c’è un discreto uso delle tastiere, fanno una fugace comparsa anche degli archi e ricorrono ossessivamente sullo sfondo brevi suoni campionati, quasi per intensificare il disagio nell’ascoltatore. L’universo sonoro di Maroccolo è scarno all’apparenza: certamente è cupo e con pochi sprazzi di luce, ma grandemente curato e caratterizzato da un suono soffuso.
Dato che il giudizio globale sull’opera risente della diversità di ogni singolo artista dagli altri, è inevitabile soffermarsi sui brani più significativi: il primo cenno lo merita certamente Piero Pelù, che, deludendo da tempo immemore, imprevedibilmente si riscatta con un’interpretazione non sopra le righe come di solito.
Prestazioni di rilievo per Godano, nell’inedita veste (se escludiamo l’assaggio che ci aveva regalato ne La Vampa Delle Impressioni) di lettore-recitatore alla Massimo Volume, nonché per Ferretti, la Di Marco e Fiamma (comunque per affinità gli interpreti più nelle corde di Maroccolo); anche il pezzo della Donà è gradevole, pregno di grande delicatezza; Raiz (ritorno graditissimo), Chimenti e Battiato tengono botta decorosamente. Meno convincenti le prove di Manuel Agnelli, che pure recuperando la lingua delle proprie origini artistiche – l’inglese – non ne recupera la freschezza, anzi, appare stanco come mai prima (attendo ora il nuovo disco degli Afterhours con qualche preoccupazione in più) della Consoli (che recupera il dialetto siciliano, un tocco di folclore che non vale a molto) di Cherubini (il brano più fuori contesto e inutile) di Renga (un’interpretazione di maniera, “affettata”, sommersa da innumerevoli gorgheggi in un brano comunque poco incisivo).

Il disco è non facile e nel complesso interessante, ma non in tutti i brani “difficile” è sinonimo di “bello”, quindi il lavoro è consigliabile più agli “aficionados” di P.G.R.-C.S.I. ecc. ecc.
Gli altri possono astenersi dall’acquisto senza eccessivi rimorsi.

Carico i commenti... con calma