Strana storia quella dei Gomez.

Dieci anni fa avrebbero potuto conquistare il mondo, ma da bravi ragazzi di Southport lasciarono ribalta e certo imperialismo rock ad altri, più furbi e anche mediocri. La musica dei Gomez non è mai andata dietro gli strilli e isterismi delle copertine sul NME, e forse questa rimane una delle ragioni per cui passato l'exploit dei primi due album furono pressoché ignorati dalla marchettara stampa british. Cultori revisionisti tra Band, Grateful Dead e Beatles, mostravano ben poca spocchia, non trombavano modelle e durante le interviste apparivano genuinamente umili (che fessi!). Così roots, bluesy e "americani" dentro e così poco inglesi negli anni fighetti e volgari del brit-pop. Sembra ieri, era il '98 quando l'esordio "Bring It On" vinse il Mercury Music Prize e fece fuori, nell'ordine, Verve, Pulp, Cornershop e "Mezzanine". Il successivo "Liquid Skin", almeno per chi scrive, era ancora più gustoso nei suoi classici rimandi alla psichedelica pastello dei Sixties, al vento nei capelli West Coast e a quel blues inquinato-beckhanseniano tipico del meltin' pot Novanta. Le loro ballate erano spesso epiche e delicate, un florilegio folk-acustico e poi elettrico. Avete presente quando in "Animal House" Bluto\Belushi & co. sembrano ormai compromessi con la sconfitta, e invece alla fine avranno la sacrosanta rivincita sull'odiata élite degli Omega? Le migliori canzoni dei Gomez riescono a procurarmi quasi le stesse goderecce sensazioni.

Pubblicato su etichetta Ato Records di Dave Matthews e prodotto da Brian Deck ( Modest Mouse, Califone), "A New Tide" è probabilmente il miglior album con sopra stampato il nome "Gomez" dai tempi di "We Haven't Turned Around" e "Fill My Cup". Un nuovo inizio per la band di Ian Ball e soci, dopo le ultime, incerte prove discografiche. L'amore per la tradizione filtrata dalla (post)modernità, l'incastrarsi perfetto delle voci di Ben Ottewell, Tom Gray e Ball, le melodie lievi e oblique sporcate talvolta da un'elettronica umana aumentano lo stupore di ritrovarsi con vecchi compagni persi di vista da lungo tempo. Basta poco per innamorarsi di queste undici tracce dimenticate ("Lost Track"), giusto dedicargli lo spazio e la cura necessari. Il risultato sarà una "Natural Reaction". Immaginate un Vedder acustico che indossa occhiali da sole trafficare con Iron And Wine ("Little Pieces" ), uno scherzetto-pop contagioso degno d'una liaison Eels-New Pornographers ( "If I Ask You Nicely") oppure una psycho\ballad vagamente Radiohead e però ottimista ( la fascinosa "Mix"), dove la batteria insiste allegramente sincopata e colora il ricordo del primo bacio estivo a Marylou.

In meno di tre quarti d'ora la matura essenzialità di "A New Tide" chiarisce che i Gomez sono sempre tra noi. Liberi di giocare con il romanticismo e gli archi sinuosi di "Win Park Slope" e d'elaborare un remake appiccicoso, sorprendentemente catchy, dei Red Red Meat ( il singolo "Airstream Driver").

Strana storia quella dei Gomez. Strana la vita. Che gonzi ‘sti Gomez.

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