Quando queste "canzoni per principianti" videro la luce, il suo creatore aveva alle spalle una carriera che poteva bastare ed avanzare per rendite e rispetto futuri pressoché infiniti. Graham Nash da Blackpool (Inghilterra) era stato tra i fondatori del gruppo The Hollies, che nella seconda metà dei sixties infiammò milioni di persone in tutto il mondo con il suo pop fresco ed accattivante. Ma questo non gli bastava, tanto che nel 1968 si trasferì negli Stati Uniti dove iniziò una proficua collaborazione artistica e lisergica con David Crosby, fresco transfugo dai Byrds. I due si trovarono in perfetta sintonia, tanto da convincere Stephen Stills prima e Neil Young appena dopo ad unirsi a loro (entrambi orfani dei Buffalo Springfield) per dar vita al supergruppo che porta i quattro nomi, ancora una volta, alla ribalta mondiale, con l'album-manifesto "Deja Vu".

I cambiamenti sono nell'aria speziata che corre sulla costa californiana, ma non sono quelli predetti e desiderati dalla Stagione dell'Amore, tanto che in pieno reflusso hippie-psichedelico, Nash dipinge 11 morbidissimi acquarelli, con voce ferma ma sommessa, dove la malinconia ed un pizzico di rassegnazione (era appena terminata la sua relazione con Joni Mitchell...) fanno capolino ad ogni nota.

L'anthem "Military Madness" è una straziante presa di posizione contro la guerra ("In an upstairs room in Blackpool, By the side of a northern sea, The army had my father, And my mother was having me, Military Madness was killing my country, Solitary Sadness comes over me") supportata da un robusto folk-pop suonato con l'urgenza di chi sa (o crede di sapere) che la fine non è molto al di là da venire... qui compare per la prima volta nel disco anche una languida pedal steel-guitar suonata da Jerry Garcia, mentre l'amico fraterno Crosby sovraccarica di tensione la successiva "Better Days" con la voce di Nash tirata fino allo spasimo. In questo brano troviamo anche un insolito Neil Young al pianoforte, così come farà anche per la splendida ballata in puro stile britannico "Simple Man", dove i richiami/rimandi ai migliori Paul McCartney ed Elton John sono fortissimi. Ma se proprio bisogna fare il nome di artista a cui questo disco si deve accostare, questo è John Lennon, anche se Nash sembra bruciarlo leggermente sul tempo, in quanto prende l'album "Imagine" dell'illustre connazionale e ne disegna gli scenari che poi lui intraprenderà, attraversando tutti gli anni settanta fino a trovare il tragico capolinea al volgere degli anni ottanta.

"Wonderful Bird" e "I Used To Be A King" ne sono esempi perfetti, così come "There's Only One" richiama vagamente le costruzioni pop un po' barocche del lato oscuro della luna dei Floyd ancora a venire. "Sleep Song" è puro folk per chitarra e voci, mentre in "Man In The Mirror" illumina la strada per un certo pop sofisticato che vedrà nei Supertramp tra i migliori esponenti della seconda metà del decennio. "Chigaco" merita una citazione particolare, in quanto insieme a "Military Madness" è il brano che traina il disco nei piani alti delle classifiche, con quel suo incedere vagamente reggae, ma che risulta essere (per assurdo) uno dei pezzi più deboli del disco, quasi un pezzo di maniera, confluendo nel minuto abbondante della conclusiva "We Can Change The World" che ne riprende il tema melodico e ci lascia il messaggio che probabilmente tutti si aspettavano da Graham Nash nel 1971.

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