Sapete qual è la cosa più americana che ci sia? Non è l'apple pie; non è nemmeno Hollywood. Io credo che la cosa più americana sia in fondo la solitudine. Dimenticatevi di New York, delle coste, delle metropoli; gli Stati Uniti sono anche molto, molto altro. Sono anche i Grandi Laghi; gli Appalachi; il nulla del Wyoming, dello Iowa, del North Dakota. Oppure, se preferite, dell'Arizona: uno sparuto numero di agglomerati urbani circondati da un arido deserto punteggiato di cactus, dall'Altopiano del Colorado, dalle palle di Salsola che rotolano immerse nel silenzio. Tucson è la seconda città dell'Arizona: da qui provengono i Green on Red.

Esordiscono nella scena punk locale; nell'80 si spostano a Los Angeles, dove si legano a Steve Wynn e finiscono coinvolti in un giochino chiamato Paisley Underground. Il loro primo album, "Gravity Talks" (1983), è un classico del genere. Ma nel giro di due anni le cose cambiano: il profeta della chitarra, Chuck Prophet, entra nel gruppo, e inizia a dividersi il proscenio col superbo tastierista Chris Cacavas, fin qui padrone assoluto della parte musicale; e con la venuta del profeta, che è pure songwriter sopraffino, il sound garage inizia a diventare un ricordo, la componente psych si smorza, mentre emergono in superficie il country e il blues. O forse, come dice il padre fondatore Dan Stuart, in fondo era solo questione di tempo: a furia di suonare, l'anima delle radici ti conquista e ti fa suo. Nell'85 i Green on Red pubblicano "Gas Food Lodging".

Basta già la splendida opening, "That's What Dreams", a dare un'idea di cosa sarà questa gemma dimenticata: un giro di chitarra schietto, genuino, che profuma di spazi immensi, di distanze interminabili; le mani di Cacavas dipingono uno scenario di languore senza tempo, mentre la voce aspra e dolorosa di "Big Daddy" Stuart comincia a cantare un'America a noi celata, un'America di falliti, di delusi, emarginati, psicopatici. Ma questi disperati stringono i denti e continuano a lottare, perché è questo il sale della vita: guess I'll be poor for the rest of my life, it's better than giving up the fight. E se ogni tanto ci si vuole consolare, è per questo che sono fatti i sogni.

Il country-blues di "Black River" è un altro colpo all'anima: il canto malinconico di Stuart, che ricorda certo Dylan, viene a galla da un bicchiere di whisky, metre l'armonica disfatta di Cacavas, e poi la sua tastiera, ci fanno chinare il capo sul tavolino di un saloon. È fatta, ormai ci siamo imbarcati su questa highway polverosa che ora costeggia i Doors (quell'organo), ora i Rolling Stones, ora Neil Young; una highway ancora più cupa verso la fine, che va a concludersi nelle prime tre strofe dell'inno gospel "We Shall Overcome". Un giorno prevarremo; un giorno, dicono i Green on Red, tutto questo delirio finirà... forse.

Musica dal profondo del cuore. Musica in risonanza con le corde dell'anima. Musica che ferendo lenisce.

"Gas Food Lodging": benzina, cibo, un letto dove dormire. Non serve altro per viaggiare lontano, per svanire in mezzo al nulla, per cercare di trovare una risposta: perché anche la vita è un viaggio, e come ogni viaggio, il suo senso non sta alla fine; il suo senso è il viaggio stesso.

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