Dalla Svezia torna Erik Gärdefors, mente e anima del progetto Grift, premetto che dò il massimo a questo artista anche e soprattutto perché quello che Grift propone e vuole rappresentare è esattamente quello che voglio trovare e che cerco nella musica estrema del Nord Europa.

Tradizione, folklore, la luce fredda del Nord, i silenzi rotti solo dall’indifferenza solenne e mostruosa della Natura, la solitudine, piccole fattorie isolate e pericolanti, laghi inospitali, la vegetazione rarefatta e composta, il filo conduttore con il passato, la musica.

L’incontro tra suoni antichi e le forme di espressione contemporanea lassù, nella musicalmente “pluridecorata” penisola scandinava, trova in Grift la sua forma di espressione più genuina e attualmente una delle più emozionanti. La voce, dosata in modo sapiente, ora disperata e feroce, ora lenta ed evocativa, è una componente di primaria importanza in questo secondo album del nostro misantropo biondo, Erik infatti dimostra di saperla utilizzare al meglio fin dall’inizio, per condurci là dove vuole che ci affacciamo ad osservare la sua idea di meditazione sulle nostre radici. La parola Arvet dovrebbe significare “l’eredità”, il fatto di tentare, specie nell’era virtuale e ipertecnologica in cui viviamo immersi, di ricollegarci con quello che ci precede, è qui ben testimoniato da pezzi rituali come “Morgon på Strömsholm”, scandito da formule in lingua madre, parentesi ambient dove il nostro ricrea atmosfere di ansiosa attesa, rapaci notturni, l’urlo di una volpe e raffiche di vento ci immergono in quella foresta cui è necessario perdersi per poter uscire dal “qui ed ora”, per entrare in contatto con gli spiriti degli Antenati, o di chiunque ci sia ad aspettarci nelle “dimensioni altre”. Questo mi riporta inesorabilmente a quel capolavoro senza tempo che è Kveldssanger degli Ulver, assieme a Bergtatt, vette spaventose di maestria e folklore, veicoli di paure ataviche, inni alla sera, lamenti ed enormi Troll mascherati da colline, come nei disegni di Kittelsen, autentico visionario del retaggio nordico. Erik Gärdefors scrive, per spiegare il suo concetto di tradizione legato a questo lavoro, che nessuno può scappare al proprio retaggio, alla propria eredità, con questo album, Grift “wants to illuminate the always ongoing journey from the small safe place in each mans heart to the great unforeseen life”, ci dice il nostro musicista, ed è proprio quello che fa, anche con l’ausilio dello Psalmodikon, uno strumento svedese utilizzato nel XIX secolo, utile per il viaggio ultraterreno che ci prepariamo a fare. Nell’album ci sono anche ospiti che collaborano con Gärdefors, li scoprirete leggendo il bellissimo booklet in elegante formato A5, impreziosito da suggestive fotografie in bianco e nero che ritraggono gli scenari dove Erik lavora e che danno poi vita al tutto, oltre che a disegni di Johannes Bengtsson, a mio modesto avviso utili, anzi, essenziali per entrare completamente nello spirito del disco. Segnalo anche il video girato per il pezzo “Den stora tystnaden” (Il grande silenzio), che riprende là dove il precedente “Svédtorna”, altro prezioso video del 2015, aveva interrotto il suo corso.

Aggiungo, concludendo, che il piacere di scoprire suoni che, pur pagando un tributo palese a certe sonorità e certe attitudini del passato, rimangono saldamente ancorati alla terra e al mistero che ci separa da quella sfumatura selvaggia e affascinante che è lo stupore dell’uomo davanti agli elementi che lo circondano, è liberatorio e vale il viaggio, sempre. Se vorrete camminare nuovamente su un semplice ma sincero sentiero di introspezione da “risveglio della terra”, per dirla alla Hamsun, o vorrete una nuova colonna sonora per rivedere Bergman, provate Grift, vi ritroverete in aperta campagna, verso sera, pronti a scoprire cosa vi riserva la notte.

Carico i commenti... con calma