Durante le vostre navigazioni in Internet, tra una foto di una starlette succinta e un articolo di attualità, vi sarà capitato di imbattervi nella parola Antropocene. Se è così bene, sapete già di cosa si tratta; per tutti gli altri, invece, può essere utile ricordare che il termine “Antropocene” è stato proposto da alcuni studiosi per definire l’attuale era geologica, nella quale l’uomo, attraverso molteplici attività, è riuscito a incidere in maniera permanente sull’ambiente terrestre.

Difficile stabilire quando sia iniziato questo processo, tuttavia è innegabile che l’industrializzazione, l’invenzione della plastica e l’inquinamento atmosferico abbiano provocato una vera e propria rivoluzione, capace di incidere, spesso negativamente, su interi ecosistemi.

Gli effetti dell’intervento umano (cambiamento climatico, estinzione di specie animali, etc...) erano ampiamente prevedibili, ma solo recentemente i politici sembrano essersi accorti dei tentativi di sensibilizzazione portati avanti dagli attivisti. Troppo tardi, secondo alcuni.

E i musicisti come si sono comportati? Sicuramente non sono rimasti a guardare. Soprattutto nell’ultimo decennio, infatti, sono usciti dei dischi che più o meno direttamente hanno affrontato il tema, spesso con toni cupi e minacciosi. Tra questi ricordiamo Tomorrow’s Harvest dei Boards of Canada o il suggestivo Monument Builders del producer canadese Loscil.

Anche Claire Elise Boucher, meglio nota come Grimes, ha deciso di dire la sua sull’argomento, anzi si è fatta talmente prendere dalla questione da arrivare a registrare un concept album (termine odioso, lo so, ma purtroppo necessario) incentrato sul climate change, dal titolo emblematico: Miss Anthropocene.

In questo lavoro la cantante veste i panni di una dea antropomorfa, un personaggio influenzato dal cyberpunk, dai manga e dalla mitologia classica. Lo scopo di tutto ciò? È la stessa Grimes a dichiararlo: “[…] to make the climate change fun [and] make a reason to look at it”.

Da un punto di vista artistico, Claire Elise conferma appieno il suo talento, occupandosi non solo delle parti vocali, ma anche della produzione e dell’artwork (e non è tutto, perché ci sono dei video su YouTube in cui, oltre a ballare bene, si trucca da sola e dichiara di prepararsi terribili intrugli vegeriani).

Tra i vari aspetti è quello musicale ad attirare maggiormente l’attenzione. Se i precedenti Visions e Art Angels erano segnati da fascinazioni synth-pop e atmosfere dreamy, Miss Anthropocene cambia le carte in tavola e vira verso un sound cupo, industriale, che sconfina nella drum and bass (è il caso di 4ÆM”) o addirittura nella dark ambient (mi riferisco a “Before the Fever”, dove Grimes dichiara che quello che stiamo ascoltando è “il suono della fine del mondo”).

Il percorso inizia con So Heavy I Fell through the Earth (Art Mix)”, post-dubstep psichedelica in cui la protagonista racconta la sua discesa sulla Terra, in nome dell’amore e del desiderio di maternità. Che sia la volontà di concepire una sorta di salvatore della razza umana? Oppure un’allusione al figlio che Grimes avrebbe avuto di lì a poco? Chi può dirlo, ma l’apertura è sicuramente suggestiva, azzeccata.

Da queste parti, però, non ce la si passa mica bene: “Unrest is in the souls/We don’t move our bodies anymore” recita “Darkseid” (nome preso in prestito da uno dei personaggi del fumetto Justice League), quasi anticipando l’alienazione da lockdown che avrebbe caratterizzato le nostre vite nei mesi più duri della pandemia di COVID-19.

Sulla stessa linea c’è il singolo “Violence”, un brano electro-pop in cui prende la parola Madre Terra in persona, riflettendo sugli squilibri che caratterizzano la relazione tra l’uomo e il pianeta in cui egli vive. I disastri naturali vengono “contraccambiati” con uno sfruttamento folle delle risorse terrestri, un circolo vizioso dal quale tutti sembrano ricavare un piacere perverso (You wanna make me bad, make me bad/And I like it like that, and I like it like that”).

Tra inquinamento, miserie e “New Gods” post-moderni c’è spazio anche per riflessioni sulla morte e l’abuso di droghe. La cosa più assurda (come se ce ne fossero poche) è che vengono accompagnate da uno stranissimo arrangiamento country-pop galattico che a molti farà storcere il naso; al sottoscritto, invece, piace tantissimo (mi riferisco a “Delete Forever”, una delle tracce più particolari di Miss Anthropocene).

Al termine di questo viaggio ai limiti della sanità mentale troviamo la dolcissima “IDORU”. Il titolo è un gioco di parole che rivela, ancora una volta, la passione di Grimes per i manga e la cultura giapponese; musicalmente, invece, siamo alle prese con una sorta di breakbeat sognante, un finale pieno di speranza che allude alla nascita del piccolo X Æ A-12 (avete capito bene, è questo il nome del bambino avuto con l’imprenditore Elon Musk).

Il risultato finale riesce ad andare oltre ogni possibile aspettativa. Miss Anthropocene, in altre parole, è un’opera complessa, per alcuni confusa e troppo varia dal punto di vista delle sonorità, e che però riesce a interpretare alla perfezione i tempi attuali, caratterizzati da devastazione, pessimismo e sconforto. Il tutto attraverso un mix di fantascienza, videogiochi, estetica dark e filosofia che, personalmente, mi ha lasciato sorpreso.

Spero che chi ci governa presti ascolto agli ammonimenti provenienti da artisti come Grimes, i quali, con la loro follia e visionarietà, sono forse gli unici in grado non solo di comprendere il presente, ma anche di tratteggiare inquietanti scenari futuristici. Fornendoci così le chiavi per capire meglio noi stessi, chi ci sta intorno ed evitare (si spera) il peggio.

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