Domani esce il nuovo album di Guè Pequneo, quindi mi sembra una buona occasione per rispolverare il suo esordio. "Il ragazzo d'oro", pubblicato nel 2011 ad inizio estate, al tempo raccolse probabilmente meno di ciò che avrebbe meritato. Fu un po' visto come una parentesi goliardica, una momentaneo esercizio di stile in un anno di pausa dal progetto Club Dogo. Chi ebbe la lungimiranza di dedicargli ascolti approfonditi, potè scoprire un lavoro valido e pregno di dolore; chi invece lo scagò, un po' perchè era il disco di un rapper (e quindi a ragione) e un po' per orgoglio snob (a torto), arrivati ad oggi, nel 2018, ha tutto il diritto di patire il peso della vergogna per quanto sia stato un autentico coglione.

Che sia uno street album, un mixtape, o un disco a tutti gli effetti, "Il ragazzo d'oro" è un'opera che sa ancora mettere i brividi. Sì, un attimo, adesso lo dico: c'è anche della musica di merda qua dentro, ma le vette stanno così abbastanza in alto da non farcela vedere.

Quindi, togliete metà tracklist e butattela nel cesso assieme ai dischi degli Afterhours e dei Verdena. Riducete tutto all'essenziale. La title-track è un capolavoro, con un Caneda delirante e un Guè già proiettato nel 2015: trap prima di te. Ti frego all'ultimo, Benny Blanco / Lattte macchiato? No, grazie, bianco. "Il Blues Del Perdente (6 Gradi di Separazione)" è una canzone rap scritta come Cristo comanda, quindi in teoria dovrebbe far cagare, invece, oh, è proprio bella. Le due "XXX", parte 1 e 2, softocore e hardocre, in fin dei conti non fanno così schifo come parevano fare al tempo, almeno non del tutto: quella con Baby K è soprendentemente carina, nell'altra c'è Vacca che è un malato mentale. "Pillole" è ossessiva, turbolenta, viscerale: un viaggo nella merda, nella depressione quando lo spiraglio di luce è rappresentato solo da un po' di pastiglie mescolate a cazzo quando la paranoia ti dà al cervello.

"Big!" mi pare che sia una posse track, una roba da rappresentante d'istituto tecnico per geometri: in altre parole, la traduzione sottoforma di pippone rap di un ben più consono "stocazzo". Fa meglio la conclusiva "Da grande", innanzitutto perchè fa rimare grande con grande, poi perchè fa piangere, ché se hai un minimo di cuore e non sei abbagliato dalla retorica della Musica Vera, sai empatizzare con il dolore di un neotrentenne oppresso da inquietudine e sensi di colpa per gli errori madornali commessi fin qui.

Insomma, in questo album ci sta dentro una bella fetta di chiunque, quindi fareste meglio a levarvi quella maglietta dei Joy Division (che ormai puzzerà di scorie chimiche) e ascoltarlo. Dai, che non è ancora troppo tardi.

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