Ognuno di noi è affezionato a un determinato disco in modo particolare… beh, non vi sto a elencare le ragioni personali per cui “Appetite“ sia uno di quei dischi che raramente mi dimentico di avere perché credo non ve ne freghi un cazzo qui siamo per parlare di musica giusto?

Dunque, dopo aver preso tristemente atto che la storia delle rock band è sempre la stessa, e i Guns non rifuggono certo da questo schema: ribelli, poveri, incazzati e disperati e, ovviamente, con la droga come presenza costante, mi accingo a parlare della loro musica.
Premessa, in questo loro primo lavoro, di fatto i guns han detto tutto quello che avevano da dire, presentatosi come gli ultimi (temporaneamente parlando) consacratori del credo hard-rock, in questo album capaci di miscelare stupendamente il rock puro con un po’ di punk e blues, stile definito “street”. La loro forza e di fatto la loro genuinità artistica di musicisti di strada l’hanno persa con il polpettone doppio album “use your illusion“ una vistosa operazione commerciale con poco da salvare.

E che dire di "Appetite for Destruction", leggero pezzo di plastica datato 1987, che divenne presto il prodotto piu’ ricercato nel mondo della musica moderna, oscillando fra i 12, 14 e 16 milioni di copie vendute (a seconda delle stime) negli anni successivi ? L’album era fresco come una bottiglia di Jack Daniel’s appena aperta.
Ribolliva di rabbia, sanguinava di dolore, rabbrividiva di terrore, trasudava passione, singhiozzava d’amore, urlava d’odio e si rizzava con un atteggiamento da antieroe che automaticamente rende eroi. Era una pillola dolceamara della potenza del sangue velenoso e facile da ingerire. Infatti, raramente nel campo dell’hard rock un album così pieno di smargianassate aveva avuto un cuore tanto dolce. Che disco ragazzi, che sound!

Dal suono sporco eppure melodico, con testi distruttivi alla millesima potenza, con violenza metropolitana, alienazione, disordine.. In "Welcome to the Jungle", la canzone-manifesto del gruppo e senza dubbio la più rappresentativa, il complesso scivolava intorno il riff di Slash, mentre Axl cantava “… welcome to the jungle, we take it day by day, if you want it you ‘ re gonna bleed, but it’ s the price to pay” … (..benvenuta nella giungla , qui si vive alla giornata, ti fan sudare per averla, ma è il prezzo da pagare..) prima che il ritornello corale della canzone, vero racconto biografico della band, infiammasse narici e sollevasse creste.
In "It’s so easy", il primo pezzo a illuminare la vocalità schizofrenica di Axl (un momento era un dandy dalla voce profonda a dall’ammaliante e sicura spavalderia; il momento dopo un bambino isterico che vomitava rabbia come fosse il curry della sera prima) si replicava il concetto “cars are crashing every night, I drink and drive everything in sight , i make the fire but I miss the firefight, I hit the bulls eye every night … ” (…auto sfasciate tutte le sere, bevo e guido tutto quello che capita, sono il primo a sparare e il primo a scappare , faccio centro tutte le sere..).

Poi si palava di sesso e amore, mescolati come sempre accade; raramente scissi, l’istinto fotte il cuore che mette incinto il cervello, ma questa è la vita. C’era la donna idealizzata “ ..she’ s got eyes of the bluest skies , as if they throught of rain, II hate to look into those eyes , and see an ounce of pain.. ” (… ha gli occhi dei cieli più azzurri , come un pensiero di pioggia, odio guardarli e vederci un briciolo di dolore. . ” ) dalla splendida ballad "Sweet child o’ mine", dichiarazione d’ amore di Axl per la sua ragazza Erin , ma anche l’atmosfera festaiola della serie “svuotiamoci i coglioni” … . ”…panties’ round your knees, with your ass in debris, doin’ that grind with a push and a squeeze, tied up, tied down up against a wall, be my rubbermade baby, an’ we can do it all… ” (“… tira giù le mutandine, bel culo sfondato, te lo piallo a stantuffate, su e giù contro il muro, sii la mia bambola gonfiabile, e possiamo fare di tutto..”) da "Anything goes".

Poi l’eroina, cancro e panacea creativa della scena “street” dell’epoca. I Guns N’ Roses riprendevano, con il loro stile, il discorso iniziato in maniera più raffinata un ventennio prima da un certo Lou Reed, decantando la realtà della roba in “Mr Brownstone”, convincenti come pochi prima: ” … I used to do a little but a little wouldn’ t do, so the little got more and more, I just keep tryin ‘ ta get a little better, said a little better than bifore… ” (“me ne facevo poca ma non mi bastava, così il poco è diventato sempre di più, ora provo a stare un po’ meglio, intendo un poco meglio di prima… ” ).
Non c’è politica in questo album, non c’è voglia di cambiamento, coscienza di lotta, impegno sociale. Niente. Sono solo cinque punkrocker tossici che urlano la loro rabbia dai bassifondi della metropoli forse più glam al mondo dopo New York: Los Angeles.
"Nightrain" cantava le virtù del liquore a buon mercato facente parte della loro dieta e che li mandava storti come gli Aerosmith al loro meglio. "Out a Get me", grande dichiarazione anticonformista, eruttava sfida alla legge; come un sole che esce improvvisamente da un manto di nuvole nere, Paradise city sbuffava con un brontolio minaccioso fino a spezzarsi in uno dei ritornelli più intonabili che si possano immaginare portando il primo lato al culmine dell’intensità con sette minuti di orgiastica incisività che sapeva di sogni infranti, mentre "My Michelle" dava il calcio d’inizio al secondo lato con la storia trita ma vera di un’ antica fidanzata di Axl, Michelle Young che a quanto dice il frontman era un miracolo vederla viva per strada data la vita strampalata che lei conduceva.

In "Think About You" staripava , come in "Sweet child o mine", il lato più dolce della personalità Jekyll/Hyde di Axl mentre sulla melodia la band, incurante, dava carica e potenza. Ma con "Anything goes" e "You are Crazy" l'atmosfera diventava sensuale e con l’ultima raffica di "Rocket Queen" gli occhi di Axl si stringevano nel ricordo di una ragazza che si era rovinata l’esistenza imboccando la strada della perdizione. Un‘altra storia vera, un’altra squallida fetta di vita nello stile Guns’ n’ Roses.
Stile condito da un atteggiamento edonistico, che ha nella ricerca del piacere individuale il suo bene più alto, un atteggiamento che, tra l’altro picchia e ripicchia fideisticamente nei medesimi temi peraltro riassumibili nell’organo sessuale femminile, fine “supremo” di ogni azione-reazione.
Stile esemplificante una nonchalance stupida e inconcludente che è uno stato d’animo di ribellione compiaciuta, quella che sfoggiava sul palco lo spiritello dai capelli rosso fuoco esalante veleno tra una grandine di ghigni laceranti e sogghigni con lingua a rasoio o il mezzobusto borioso, un velo di riccioli neri come carbone e un tricorno, che danza al suono di una malandata Les Paul.

Per aumentare ulteriormente la macchina delle esagerazioni, si mise in giro la voce che in "Rocket Queen" si sentiva Axl che faceva l’amore con una groupie in sala di registrazione, inoltre gran parte della reazione iniziale ad "APPETITE FOR DESTRUCTION" si focalizzò sull’uso regolare di parole volgari e sull’immagine che appariva in copertina (poi censurata e quindi sosituita dai cinque teschi disposti a croce) raffigurante, apparentemente, le conseguenze di un violento stupro che una giovane attraente, che vendeva in un chiosco piccoli robot giocattolo, aveva subito da una strana creatura robotica. In definitiva sono io per primo ad ammettere che di tecnica, arte, in questi cinque scalmanati ve ne è poca, sono rozzi , violenti.. ma la sincerità, la dedizione e la maledizione del lavoro, in cui è dipinta una realtà squallida ma vera, arrivò nei giovani di tutto il mondo di 18 anni fa e spero che la percepiate anche voi.

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