L’alone di culto che circonda il gruppo confraternita degli Hawkwind non è paragonabile a quello di altre band dei primi ’70; è di sicuro meno evidente (avete mai visto qualcuno con la maglia di Space Ritual? In un mondo migliore le venderebbero in tabaccheria insieme alle barrette Sandoz), assomiglia di più alla strausata metafora del fiume carsico, che appare in superficie di tanto in tanto, giusto per prendersi qualche onore e vago ricordo e tornare a farsi i cazzi suoi. Così il cultista hawkwindiano se li ascolta di solito per i cazzi suoi i sacri dischi, anche perché nessun revival ha ancora toccato seriamente gli Hawkwind, anche se molti non si rendono conto che le svisate psichedeliche dell’imberbe Josh Homme kyussiano tutto devono a cose tipo “Master Of The Universe” (il primo che ride e fa delle battute su He-Man, Skeletor e la Madonna di Greyskull verrà preso a schiaffi dalle enormi tette di Stacia).

E un po’ devo dire che ne sono sempre stato contento, ti dà quel non so che di moto carbonaro, anche un pelo nerd, permette di esaltarsi con l’headbanging sull’autostrada spaziale tracciata da“Brainstorm”.  E se un minimo riesco a capire come funziona il music biz, non penso verranno mai idolatrati, sia perché la fase aurea è abbastanza breve, sia perché erano decisamente impresentabili, come spesso le loro copertine, e quindi poco vendibili oggi come allora. Ma sarebbe un errore lasciarsi scappare la gioia della partenza verso lo spazio (mentale) profondo che dona “You Shouldn’t Do That”.

Ecco che allora un tributo così ben fatto come questo “Hawkwind Triad”, vale sia come punto di partenza per neofiti che come periodico ripasso per l’appassionato.  E si tiene anche abbastanza lontano dalla fredda e auto compiaciuta riproposizione/riproduzione degli originali.

Encomiabile innanzitutto la scelta di tre gruppi abbastanza dissimili: gli U.S. Christmas sono i più Hawkwindiani per vocazione, Harvestman è lo pseudonimo solista di Steve Von Till dei nerissimi Neurosis, un mondo distanti dalle atmosfere di Brock e soci, i Minsk sono un ensemble che si potrebbe definire metal, ma che fondamentalmente si tiene al di fuori degli stereotipi che la denominazione si porta dietro, frullando di tutto all’interno della loro musica. E’ logico quindi che i Natali Americani siano quelli che meno danno di proprio nei loro pezzi; ed è un peccato perché “Master Of The Universe”, “You Shouldn’t Do That”, “Psychedelic Warlords” e “Orgone Accumulator” sono testi sacri per il cultista suddetto. Va decisamente meglio ad Harvestman, che rilegge in chiave psych folk eterea e in botta da effetti spaziali (che avrebbero fatto la gioia di Dik Mik) “D Rider”, “The Watcher”, “Magnu” e la bellissima “Down Through The Night”.

I migliori come avrete capito sono proprio quegli allegroni dei Minsk (con un nome così non potevano certo fare dub-reggae) che partono con il mio pezzo Hawkwind del cuore, “7x7”, con tanto di sax impazzito e voce cavernosa, passano per il gorgo cosmico del duetto”Assalt And Battery/The Golden Void”, e finiscono con una versione acid folk di “Children Of The Sun” da far venire voglia di strappare i pochi capelli rimasti in testa a Del Dettmar.

Quindi avvertiti, ascoltare gli Hawkwind è un dovere, aiuta l’erezione, ritarda l’orgasmo e mantiene giovani e senza ‘na lira.

“This is your captain speaking, your captain is dead”

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