La codificazione musicale del concetto di rabbia impotente è "Strap it On" degli Helmet.

Ira, sconforto, alienazione.

ZAC! Dieci secondi, poi "Repetition" esplode: la ripetizione è quella dei riff stoppati, e ognuno è una pugnalata nel fianco intrisa d'acido.

"Strap it On" è correre a cento miglia all'ora per la città sotto un cielo tinto di rosso, senza curarsi degli altri: pesci senza espressione.

L'incedere implacabile di "Rude", le strutture allucinate di "Sinatra", degne dell'ultimo Goya, la furia lucidamente folle di "FBLA": self-obsessed, try to kill, you're so DEPRESSED!

Mengede e Hamilton distorcono le chitarre all'inverosimile: una colata di lava, un fluido tentacolare che pervade; denso, inesorabile. Vivere l'incipit di "Blacktop" è come essere travolti e sepolti dall'asfalto.

"Distracted" è forse il fiore all'occhiello del disco: l'inizio è brutale, la prosecuzione è una trappola mortale, uno stritolante meccanismo a orologeria. Una pesantezza che gli Helmet non contempleranno più.

"Make Room" non fa che confermare che John Stanier è uno dei batteristi più dotati al mondo: potente, ineccepibile, espressivo. Quel che ci vuole per un compositore che pretende salti mortali.

Ho letto critiche alla prestazione vocale di questo compositore, il genio Page Hamilton; per me, tale prestazione non poteva essere migliore. Le urla sfinite, disperate di "Rude": SAY COMPLETE... SAY SYCOPHANTIC! Ringhi che introducono una coda che non lascia scampo: non è buio, non c'entra il buio, CAZZO, è solo che è finita, resistere è inutile; questo pare comunicare il finale da antologia del brano. Per non parlare della conclusiva "Murder": NO ONE IS SAFE!!!RUAAAUAAAAARGGGH!

Sacrosanta verità, a fortiori in America. La deflagrazione di Page sigilla un capolavoro del Post-hardcore/Noise, dall'influenza incalcolabile.

Che le pareti tremino...

Ottanta recensioni; e basta così.

Addio, stavolta per davvero.

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