Quanto sono forti le cose che non ci sono? Nel bilanciamento tra pieno e vuoto, che peso ha l’assenza nei confronti della presenza?
Sono in giardino, in una soleggiata mattina di fine novembre, il sole è alto e il cielo è sgombro, ma i raggi non riscaldano più (assenza di calore). Sono seduto sotto un albero, giocherello con le foglie marroni cadute dai rami, le prendo in mano, le stringo, si frantumano tra le mie dita. Il suono è piacevole, le foglie sono croccanti, ma sono morte (assenza di vita). Poi di colpo mi metto a pensare a una persona, al passato, a quando ero piccolo, e a quanto mi divertivo, d’autunno, a correre nel bosco e a sdraiarmi tra i mucchi di foglie dorate, mentre lo sguardo vigile ma divertito di questa persona vegliava su di me. Solo che questa persona adesso non c’è più, e il sorriso che ha animato il mio viso mentre ricordava si trasforma, il volto si fa serio: ti restano adesso solo ricordi (assenza di un affetto). Mi alzo, mi dirigo verso casa, e con un movimento quasi istintivo tocco l’edera le cui foglie, ora rosso fuoco, si attorcigliano attorno alla balconata. Mi aspetto che il colore acceso si traduca in calore, ma non è così: le foglie sono fredde, inumidite dalla nebbia mattutina, sembrano quasi di plastica, finte (assenza di calore, di vita, di aspettative).
Quando l’assenza ti colpisce con la sua presenza fa un rumore assordante perché si rivela in tutta la sua forza, ti fa capire quanto sia funzionale al tutto, quanto “quello che non c’è” sia importante quasi quanto “quello che c’è” se non addirittura di più. L’assenza ci fa apprezzare la presenza, il vuoto ci fa amare il pieno, il freddo alla lunga ci fa desiderare il caldo che riscaldi, per un po’, le nostre ossa.
Death Spells” degli americani Holy Fawn è un disco sull’assenza. Non che questo sia il concept dell’album, o almeno, questa ne è la mia interpretazione. E’ un disco che parla di fantasmi, che descrive le fredde mattinate tardo autunnali, quando gli ultimi raggi autunnali del sole sono un tiepido ricordo, li percepisci vagamente ma sono forse più nella tua testa che sulla tua pelle. E’ un disco adattissimo per pensare a sé stessi, per camminare senza meta, per fare pace con il mondo, o per assentarsi da esso, se necessario. Il gruppo è stato abilissimo nel distillare un “non-genere”, una proposta difficilmente assimilabile ad altri gruppi. In ordine sparso le influenze vanno dal dream pop al post rock, dallo shoegaze al post black metal, dal postpunk con riverberi darkwave all’emocore. Un momento percepisci gli I Love You but I’ve chosen Darkness, un attimo dopo i Thursday o certe esplosioni tipiche degli Envy. Poi arriva una folata di vento gelido e sopraggiunge Clouds Collide con tutta la sua carica emotiva unita al post black metal; ma c’è della dolcezza in questa malinconia, ci sono il dream pop e lo shoegaze degli ultimi Klimt 1918 a mitigare il gelo con tiepide e rassicuranti carezze di calore. Assenza di un genere musicale, ma non di intenti: i Nostri sanno dove vogliono andare a parare, ti entrano dritti nel petto, il basso pulsante si sostituisce al tuo cuore, i riff di chitarra fluiscono come sangue nelle tue vene, e i muscoli si contraggono ogni volta che lo scream ti sferza. E’, come detto, un disco perfetto per questo momento dell’anno, travolgente se si stanno vivendo momenti della propria vita in cui i fantasmi giocano a nascondino con i propri ricordi, un album intimo ma allo stesso tempo adatto a tutti.
In tutta questa assenza c’è una certezza, una presenza sicura: abbiamo tra le mani una vera e propria gemma, non lasciatevela sfuggire.

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