Le persone che, nella vita, ci lasciano un segno indelebile sono veramente poche. L'amico col quale ho condiviso quel pezzo d'asfalto sufficiente a far rotolare un pallone per interminabili ore e a sbucciarsi migliaia di volte lo stesso ginocchio, il nonno che mi mostrava la sua scacciacani usata in guerra e mi raccontava, un bel po' d'anni prima che leggessi il Voyage, della stupidità degli essere umani sono tra quelle che più mi hanno cambiato dall'interno.

Ci sono dischi che, come le persone, sono destinati a far parte di me fin quando tirerò le cuoia. Quando comprai "New Day Rising" un fumoso e gelido pomeriggio di gennaio dove - mi piace ricordare - sembrava che la nebbia fosse la continuazione della grigia scia delle sigarette e i freddi spifferi d'aria fossero anch'essi vogliosi di riparo nelle maniche del mio cappotto, finì subito nel reparto più privilegiato del mio scaffale, nella fila dei Grandi Amori, accanto agli altri dischi con i quali ho stipulato un patto d'affetto (quasi di sangue), ovvero "You're Living All Over Me", "Bleach", "Milo Goes to College" e "It's Alive"; tutti quei dischi che mi spinsero, un altro pomeriggio, a comprarmi una Stratocaster taroccata, per pochi euri, e a cominciare a suonarla/maltrattarla per dar sfogo alle mie frustrazioni. La magia del rock, dentro di me, nacque con loro.

Venuto al mondo nell'anno di svolta 1985, è un disco completamente diverso dal suo predecessore, da quel "Zen Arcade" per il quale provo un amore ancor più grande, ma assai diverso. Per "Zen Arcade" provo un amore esoterico, un'ammirazione dai contorni quasi mistici, forse perchè è il primo disco dove ho sfiorato la sensazione di perfezione, dove ho visto fondersi perfettamente tutti i significati con i rispettivi significanti; forse la pensava allo stesso modo la premiata Hüsker Dü, che dal loro Capolavoro supremo, non estrasse alcun singolo e gli conferirono così, forse casualmente, quella dimensione eterea, quella bellezza senza tempo e perfettamente ascrivibile dal suo contesto. Non vale lo stesso discorso per "New Day Rising", che è quello che veramente portò a pieno compimento la rivoluzione degli Hüskers e che, nel gennaio dell'85, disse pressochè tutto quello che sarebbe stato detto nel decennio successivo.

Fu il primo disco che comprai dei miei amici immaginari Bob, Greg e Grant ed è quasi come una fottutissima galleria fotografica della mia - ancora non finita, grazie a D'io - adolescenza. Mi ricordo di quando affrontavo muso a muso la mia rabbia contro tutto e tutti, ascoltando "Girl Who Lives On Heaven Hill" e le corde vocali sanguinanti di Hart; di quella "I Apologize" che, nell'ascoltarla, mi sembrava di ricevere una pacca sulla spalla da parte di Mould, compagno delle stesse pene. E che dire delle innumerevoli volte che, sdraiato su un letto, ascoltavo quel sussurro immerso nel suono pantanoso della sua Flying V di "Perfect Example"? Oppure di "Celebrated Summer" che, velata di quella irresistibile melanconia, ancora mi fa un po' evadere dalla mia routine da liceale e che ancora un po' mi fa sognare che sia possibile non diventare come tutti gli altri e di "I Don't Know What You're Talking About", che avrai voluto urlare in faccia a moltissime persone. E' "Terms Of Psychic Warfare", forse, la canzone a cui mi sento più legato e mi fa tornare in mente quando, tornato da scuola, buttavo la cartella in un polveroso angolo della mia cameretta, la facevo partire, saltavo a ritmo di quell'indimenticabile crescendo e, dimenticandomi di tutto e tutti, cantavo assieme a Hart "c'mon, babe... there are the terms!". Ma non vorrei tralasciare "59 Times the Pain", quasi un eco delle liti con la mia coscienza, o di "How to Skin a Cat", colonna sonora delle mie paranoie e i ricordi che si trascinano appresso, ancora vivi e pulsanti dentro di me.

"New Day Rising" è il disco dove si separano visibilmente (in "Zen Arcade" erano un'unica entità, quasi) le due anime, musicali e non, di Mould e Hart con il primo che perfeziona il suo fuzzoso muro sonoro, qui elevato a opera d'arte, che aggiunge una tensione emotiva nuova quasi come se stesse suonando le corde dei propri sentimenti e il secondo che, dopo aver ripassato a memoria i suoi vecchi vinili dei Beatles e di Dylan, evolve l'hardcore e garantisce un futuro alla generazione musicale successiva. E' lì a testimoniarlo "Books About UFOs", ballata genuinamente odorante di sixties (se dico lennoniana divento banale), come queste siano due anime profondamente diverse, ma ugualmente travagliate, tenute incollate dal mite Greg Norton, forse sempre un po' in penombra ma degno di sperticati lodi per le sue sempre perfette linee di basso, tra le più belle mai sentite.

Gli Hüsker Dü son quel gruppo che mi ha fatto capire che un sacco di merda obeso che comincia a suonare la batteria del fratello morto giovanissimo investito da un cazzo di pirata automobilistico, che un omosessuale paciottone che fugge dalla borghesia più ipocrita e benpensante (come J Mascis, altro mio eroe romantico)  e che un timido baffone che, pur di non essere accecato definitivamente dai riflettori, torna a gestire un ristorante hanno molto più da dire di qualsiasi altro stronzo. Mi hanno svezzato, mi hanno formato e mi hanno indicato - credo - la strada. E, sì cazzo, a Greg, Bob e Grant devo almeno una birra.

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