Il quarto album di studio degli Idlewild (escludendo l'ep "Captain" targato 1997) era molto atteso da chi scrive: il gruppo scozzese guidato da Roody Woomble era finalmente riuscito a fare breccia nelle classifiche inglesi con il disco del 2002, quel "The Remote Part" che sembrava aver grantito loro la qualifica di "nuovi R.E.M." dopo gli esordi emocore del debutto "Hope Is Important".
Non famosissimi ma certamente forti di una bella fetta di pubblico affezionato, gli Idlewild hanno impiegato ben tre anni prima di tornare sulle scene: e, tra cambi di formazione e vicissitudini personali, alcuni segnali che erano già emersi nel recente passato sono stati evidenziati paurosamente proprio con questo ultimo disco, che rappresenta se non un passo falso almeno un momento di transizione.
Insomma, il disco "non osa".
Non osa perché dopo le sfuriate rock dei primi due dischi la band sembra suonare con il freno a mano tirato, preferendo la forma ballata al rock'n'roll pixiesiano, e per dei ragazzi non ancora trentenni questa sembra quasi una menopausa anticipata: non che non siano capaci di tirare comunque fuori delle belle cose (ad esempio "Welcome Home" è tra le canzoni migliori del loro repertorio) ma manca la rabbia e manca la malinconia che avevano dato lustro anche alla virata verso il pop di "The Remote Part".
"Warning/Promises" sembra, volendo ripercorrere le frequenti analogie con i R.E.M., una versione personale di "Automatic For The People", a partire dall'orecchiabile "As If I Hadn't Sleep" che rilegge "The Sidewinder Sleeps Tonite" e dal singolo "I Understand It" che sembra una outtake di "Document".
Non mancano ovviamente momenti ad alto contenuto emotivo, come "El Captain", incrocio tra "Perfect Cicle" (R.E.M.) e "Chocolate" (Snow Patrol), forte di un memorabile refrain e del miglior testo mai scritto da Woomble, che tra l'altro si propone come miglior episodio di un album altrimenti fiacco e a tratti quasi senile.
Citate le eccezioni, torniamo alle regole: molti dei brani presenti sono ballad stanche che si trascinano per forza di inerzia, e che anziché comunicare passione trasmettono solo un senso di tristezza ingiustificata.
A stento raggiungono la sufficienza "Love Steals Us From Loneliness", rovinata da una produzione roboante, e "Blame It On The Obvious Way" con quella cadenza un po' circolare, à la Neil Young diciamo: ma "The Space Between All Things" è uno dei pezzi più fastidiosi che mi sia mai capitato di ascoltare, "Too Long Awake" è molto meglio nella versione "voce e chitarra" presente come hidden track e "I Want A Warning" vorrebbe sembrare drammatica e aggressiva ma alla fine risulta solo noiosa e ridicola.
"Disconnected" si poggia su una cantilena country e su una ritmica minimalista che anche in questo caso richiama i R.E.M. (quelli di "Reveal") e "Not Just Sometimes But Always" è l'ennesima riedizione delle ballate tipiche del rock americano: chitarra acustica da "io e lei davanti al camino", violoncello struggente e voce impostata.
Sentire questi due pezzi subito dopo due chicche del passato come "Roseability" e "You Don't Have A Heart" fa quasi pensare che si stia parlando di due gruppi completamente differenti, ma non si tratterebbe nemmeno del primo caso del genere della storia del rock, anzi.
Gli Idlewild suonano già invecchiati, e a onor del vero non stanno invecchiando male, così come non è vero che questo "Warning/Promises" sia sgradevole all'ascolto: ma il confronto con gli altri dischi, autentiche perle del rock britannico di fine anni '90, è impietoso.
Qui ci sono 2-3 brani degni del loro passato, altri 2-3 carini, e il resto sono delle b-sides prodotte con maggior cura. Troppo poco, speravo meglio. Sarà per la prossima.
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