Può benissimo succedere di trovare interessante un libro anche se alla fine i suoi contenuti non siano poi all’altezza delle aspettative o - come in questo caso - di mio particolare gusto. Questa è la prima considerazione che mi sento di fare a proposito di questa raccolta di racconti di fantascienza giapponese pubblicata in Italia da Fanucci Editore lo scorso aprile. Una premessa che considero fondamentale anche ai fini della considerazione complessiva che intendo suggerire riguardo questa opera.

La raccolta, curata Ilaria M. Orsini, che si è occupata personalmente delle traduzioni dalla lingua inglese, e introdotta da Carlo Pagetti, porta il nome di uno dei racconti proposti e in particolare di un’opera di Tetsu Yano del 1986 intitolata ‘La leggenda della nave di carta’. I racconti sono in totale sedici e risalgono tutti al ventennio compreso tra gli anni settanta e gli anni ottanta. Tra questi trovano spazio autori che in Giappone sono considerati tra i massimi esponenti del genere come Ryo Hammura, Shinichi Hoshi e Sakyo Komatsu, che tra tutti nei suoi due racconti (‘La bocca selvaggia’ e ‘Fate la vostra scelta’) è forse l’unico - menzionerei anche ‘Triceratopo’ di Tensei Kono - a osare e proporre una fantascienza che per gli anni in cui è stata proposta, si possa considerare al passo coi tempi e in qualche maniera avere i connotati tipici dei classici del genere.

Del resto per avere una chiave di lettura sui contenuti dell’opera ritengo sia funzionale leggere la interessante introduzione di Carlo Pagetti che compiendo un'opera di ricostruzione storica per quello che riguarda il rapporto tra la sci-fi e il Giappone, oltre sconfessare il ‘mito’ che vuole la fantascienza giapponese legata a mostri giganteschi come Godzilla oppure confinata al mondo dei manga, ci spiega come già nella seconda metà dell’ottocento quelli che consideriamo i primi autori del genere fossero conosciuti grazie alla diffusione delle opere di autori come Jules Verne e H.G. Wells. Tuttavia, come si può evincere dalla lettura dei racconti proposti, è mancato in Giappone quel rinnovamento del genere e quel 'salto di qualità' compiuto negli Stati Uniti e nel resto del mondo dopo la seconda guerra mondiale con l'arricchimento di contenuti per lo più fantastici con tematiche di attualità e contenenti anche questioni di natura sociale e geopolitica. La causa, evidente, va ricercata negli eventi traumatici di Hiroshima e Nagasaki. Senza sottolineare quella che può essere stata anche una certa censura da parte degli USA nell'affrontare determinate tematiche nel periodo post-bellico. Hiroshima è stato il punto zero. Dopo, tutto fu diverso. Paure come l’olocausto nucleare e lo scoppio di un nuovo conflitto mondiale in Giappone furono da quei tragici momenti considerati temi da letteratura ‘alta’ e che di conseguenza non sono mai stati trattati dalla fantascienza, che nel paese del Sol Levante diviene così qualche cosa dai contenuti per lo più simbolici e fiabeschi, riprendendo una certa tradizione che sicuramente affonda le sue radici nella cultura del paese, e le cui ambientazioni paradossalmente non sono le grandi città metropolitane come Tokyo ma per lo più piccole comunità rurali. Sono comunque trattati temi complessi come i rapidi processi di modernizzazione, gli strascichi del militarismo degli anni fino alla seconda guerra mondiale, l’inquinamento ambientale, l’isolamento culturale e il ruolo della donna, ma è come se tutti questi racconti mancassero di vere e sostanziali argomentazioni di natura critica che guardassero in maniera concreta e forte al tempo presente e a quello futuro.

Non c’è mordente nei racconti (una formula che peraltro non amo particolarmente, preferendo storicamente i romanzi) proposti in questa raccolta in cui non a caso i momenti più interessanti li troviamo invece nella parte che precede il corpus vero e proprio dell’opera e in cui sono raccolte alcune delle testimonianze dirette di ragazzi e ragazze sopravvissuti a Hiroshima. Le testimonianze, raccolte da Arata Osada, uno studioso del pedagogista svizzero Johann Heinrich Pestalozzi, risalgono al 1950 e furono pubblicate l’anno successivo. Sono proprio queste testimonianze la parte più suggestiva così di una raccolta che non definirei brutta, ma che costituiscono a questo punto più una testimonianza storica vera e propria e che tuttavia per i loro contenuti potrebbero non essere apprezzati appieno da un appassionato di fantascienza.

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