Un giorno, curiosando su ondarock, mi sono imbattuto nella recensione di un gruppo a me fino a quel momento sconociuto, gli Interpol. La recensione parlava del primo lavoro di questa band, "Turn Up In The Bright Lights" appunto, descrivendolo come un ottimo esordio di una band promettente. Decisamente incuriosito, il giorno dopo mi fiondo ad acquistare questo cd e successivamente a infilarlo nello stereo.

Il primo ascolto è decisamente convincente: ciò che spicca sono il timbro vocale del cantante, Paul Banks (la cui voce richiama, anche se non del tutto, quella di David Bowie), e l'ottima abilità del chitarrista, Daniel Kessler, componenti della band insieme a Carlos Denger (bassista e tastierista) e a Sam Fogarino (batterista). A questo primo approccio ne sono seguiti molti altri, ed in rapida successione. Questo è uno di quegli album che non ci si stancherebbe mai di ascoltare: non è mai ripetitivo, mai banale, ma sembra anzi riservare sempre qualcosa di nuovo ogni volta che lo inserisci nello stereo.
L'incipit è rappresentato da "Untitled", una sorta di preparazione a ciò che attende l'ascoltatore. La voce di Banks appare malinconica e lascia molto spazio alla parte strumentale, decisamente ben congeniata. Si nota una, seppur leggera, influenza dei Radiohead, soprattutto nel tratto canoro. Una della migliori canzoni del disco. "Obstacle 1", ottima nel finale, è un valido episodio che ci porta alla splendida "NYC", dedicata alla città degli Interpol, New York. Si tratta di una bellissima e coinvolgente ballata, la classica canzone da braccia alzate e accendini accesi: trascina secondo dopo secondo sempre di più, tanto che, alla fine, ti costringe a riascoltarla, e a riprovare le stesse precedenti emozioni. Si prosegue con la più ritmata e veloce "PDA", che non si fatica a definire fin dalle prime note: tutto il pezzo si sviluppa su accordi simili fino al tratto conclusivo, iniziato con un assolo di chitarra alla quale si uniscono progressivamente tutti gli altri strumenti fino al ricongiungimento finale con la voce del cantante. Quest'ultima traccia apre una fase del disco dominata da traccie accomunate tra loro da un sound accattivante e in certi tratti aggressivo. A fare da intermezzo in questa parte del cd è "Hands Away", a mio parere il vero capolavoro degli Interpol. Un mix tra la psichedelia e l'elettronica, che produce atmosfere quasi floydiane. È difficile spiegare cosa si prova ad ascoltare questa canzone: si ha come la sensazione di essere trasportati in un'altra dimensione compiendo un viaggio lento in un clima sognante, ci si estranea dal mondo esterno cadendo in piena trance.
Dopo questo capitolo a sé stante, continua ciò che era stato precedentemente interrotto, cioè una serie di tracce vivaci e veloci. È la volta dunque di "Obstacle 2" e di "Stella Was a Diver and She Was Always Down". Quest'ultimo è un altro pezzo di grande spessore, con quel ritornello rabbioso e continuo che rimane impresso nella mente e l'immancabile tratto melodico nel quale tutti gli strumenti si fondono alla perfezione creando un effetto a dir poco soddisfacente. "Roland", il cui testo tratta di un macellaio polacco che va in giro con sedici coltelli (!), chiude il filone più aggressivo e spalanca la porta al finale del disco, dove, con "New" e "Leif Erikson", si riscontra un ritorno allo stile caratterizzante della fase iniziale dell'album. Le ultime due tracce rappresentano il degno epilogo di questo bellissimo lavoro, che si colloca tra i migliori cd degli ultimi anni, e che lascia intravedere uno spiraglio di luce nel mesto e cupo scenario della musica odierna.

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