E’ appena il caso di spendere qualche parola su uno dei dischi più belli della canzone italiana: “Agnese dolce Agnese” del primo ed unico cantautore rock nostrano, Ivan Graziani, pubblicato nel 1979. Abruzzese, lupo del Gran Sasso, talentuoso chitarrista, artista irregolare impossibile da etichettare e capace come pochi di raccontare tante storie di provincia. Che amava tanto. Storie di donne, di artisti finiti ma anche storie noir di morti e di assassini, di singoli, di sesso e immoralità.

I primi 10 secondi del disco ti fanno capire subito a cosa stai andando incontro. Ivan attacca un riff tanto amato da essere sempre presente nei suoi live, “Taglia la testa al gallo”. Un incitamento a rialzarsi, a ribellarsi ed a tagliare la testa a chi ti infastidisce, al gallo del pollaio. Che potrebbe essere chiunque: un vicino di casa arrogante e violento, un padre padrone, uno zio depravato…“Fame” è un pezzo autobiografico. La fame che probabilmente Ivan ha patito nel periodo in cui non aveva successo o non aveva ancora inciso album. La fame che appare “come una donna di classe che vive nella spazzatura e che si presenta al momento giusto col suo profumo di pollo arrosto”. La fame che, purtroppo, ti costringe a bassi compromessi perché in nome di essa “hai ammazzato le illusioni e hai lavorato a cose in cui non credevi”. Un argomento caro al cantautore abruzzese ripreso in un brano inedito del 2010 “L’orchestrale bastardo” in cui Ivan canta “suona orchestrale bastardo. Suona per quattro soldi ogni sera che c’hai una jena sulla schiena che i tuoi avanzi mangerà. Musica e miseria vanno bene insieme”. Le donne sono presenti anche in questo lavoro ma bisogna aspettare ancora perché non si fa in tempo a rialzarsi dalla botta della fame che parte un riff micidiale di chitarra e armonica di Fabio Treves in “Veleno all’autogrill”, altra storia di provincia. Che non si dica che con le sue storie Ivan non fosse calato nella nostra realtà. Risultava più calato lui di altri colleghi dal fin troppo facile “impegno sociale”. “Veleno all’autogrill” è la storia di giovane autostoppista, felice della sua libertà ma povero in canna e costretto a rubare del salmone per mangiare. L’LP non ti lascia respirare e ti colpisce ancora con un altro pezzo rock anche questo amato da Ivan e suonato pesantemente dal vivo: “Doctor Jekyll e Mister Hyde”. Questa canzone appartiene all’intero genere umano perché c’è un Hyde in ognuno di noi (“Lui è quello che non vuoi ma sei”).

Della meravigliosa ballata lenta “Agnese” tutti hanno scritto di tutto. Unica certezza è che la musica richiama il rondò di una sonatina del compositore del 700 Muzio Clementi. Il testo di Ivan è davvero bello. Una canzone sul senso di rimpianto per qualcosa che si è perso, ricordi dolci e amari di una donna mai dimenticata e, soprattutto, mai baciata. Nel disco è presente quella che probabilmente è la miglior canzone in assoluto scritta dall’artista abruzzese: “Fuoco sulla collina”, canzone onirica e meravigliosa metafora della disillusione. Nel sogno c’è un giardino ed un ragazzo sedicenne, probabilmente il giovane Graziani, che ha voglia di raggiungere la collina dove è in corso una battaglia. Si scorgono i bagliori dei fuochi e si ode l’eco dei rumori. Viene però trattenuto da un adulto senza volto perché girato di spalle, lo stesso Graziani adulto, che lo riporta con i piedi per terra apostrofando l’adolescente con un “illuso, romantico e fesso - i fuochi di cui stai parlando sono i fari puntati sul campo dei trattori che stanno trebbiando”. Un monito, un consiglio dal guardarsi bene dalle false rivoluzioni e a non cadere nelle facili illusioni, perchè siamo alla fine degli anni 70, anni di sconvolgimenti in cui “rivoluzione” era la parola d’ordine. Rivoluzione, molto spesso, orchestrata “dall’alto”, dai piani superiori. Il finale è un assolo straordinario di chitarra che nella versione live di “Parla tu” diventa gigantesco perché Graziani dal vivo era un animale da palcoscenico. Il retaggio religioso tipico della provincia italiana è presente nella beffarda “Il piede di San Raffaele” dove la calda signora Sofia con l’amante appena maggiorenne e don Isidoro prete pederasta con i capelli ossigenati ed i collant possono ottenere il perdono rivolgendosi al santo “perché dove tu hai peccato lui ti ravvede però soltanto se gli baci il piede” e nella particolarissima “Il prete di Anghiari” dove ci sono le superstizioni paesane religiose tipiche della provincia con un prete che “è un mago che del suo passato non parla mai e sul suo arco di pietra ha scolpito una scritta il vento e la notte mi saranno guardiani”. Dopo “Modena park”, forse il brano minore del disco si chiude con un’altra bella ballata alla Graziani, un’altra storia assurda di provincia con Susy cantante innamorata del suo bassista duro di rock and roll anche se suonava i valzer in provincia. Ma il bassista era sentimentalmente impegnato ed alla fine Susy è costretta a subire l’odio e la vendetta di un’altra lei. Una vendetta particolarissima, il taglio dei capelli che erano “lunghi lunghi fino al mandolino”. Bello e lungo il finale musicale del brano.

Il sound dell’album è reso prezioso dall’intervento di due batteristi di lusso, Walter Calloni e Gilberto Rossi detto “Attila”, dalle percussioni di Maurizio Preti, l’armonica di Fabio Treves, il basso di Bob Callero e Beppe Pippi e le tastiere di Fabrizio Foschini e Claudio Majoli. Le chitarre sono tutte di Ivan. La copertina, splendida, è un disegno del fumettista Tano Liberatori.

Ivan Graziani è stato un artista anomalo, anarchico della chitarra, allergico ai contratti discografici del tipo “fai un disco e lo fai quando e come lo diciamo noi”. “Agnese dolce Agnese” è ancora oggi una zattera che galleggia sicura nel mare delle mediocrità musicali del nostro paese. E’ un’opera che tutti dovrebbero custodire negli inutili scaffali delle nostre case.

Un ultima cosa: che non si dica che Ivan Graziani usava il falsetto. La sua era una voce particolarissima definita dallo stesso cantautore “voce da bambina depravata”.

R.I.P. Ivan.

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