Il termine "One-Armed Bandit" è un altro modo per chiamare la Slot Machine - da qui il senso della copertina - e nulla mi sembra più azzeccato per descrivere il nuovo lavoro di questo cazzutissimo ensemble norvegese a base di fiati, che annovera nel suo curriculum la collaborazione con i connazionali Motorpsycho da "Let Them Eat Cake" fino a quella meraviglia sperimentale che va sotto il nome di "In The Fishtank" del 2003, grazie al quale li ho conosciuti.

Il suono di "What We Must" del 2005 ci aveva stregati, certo, ma, fermo restando il fatto che per me spiegare la musica di questo gruppo di pazzi dalla mente spalancata rimane difficile, qui andiamo oltre, nel senso che, proprio come quando azioniamo una slot machine non sapremo mai la combinazione che ci apparirà, anche la costruzione dei brani di questo album appare casuale, ostica, e più che mai surreale. Sulla bellissima title-track sembra quasi di essere finiti su un telequiz, più avanti fa capolino un elicottero, rumori presi dalle slot neanche a dirlo, elettronica varia, molti cambi di ritmo, pure troppi, qualcosa che assomiglia al periodo d'oro Metheny-Mays ("Toccata"), dei bei funk poliziotteschi, e poi Philip Glass, ma anche Frank Zappa, ed è solo una parte!

Forse siamo veramente capitati a Las Vegas, il posto più "fake" dell'universo, certo è che stavolta non siamo in Norvegia, e se proviamo a chiudere gli occhi forse siamo solo sulle montagne russe a sputtanarci un'oretta in un magico Luna Park. Io definirei il tutto in un solo modo: GENIALE, perchè geniale è il modo in cui questa band è riuscita a incastrare tutte le idee (o forse nemmeno una!?) e confezionare ancora una volta un lavoro di grande freschezza.

In questo album Lars Horntveth e soci non hanno più cercato il motivo orecchiabile da ficcar dentro un po' dappertutto, ma devono essersi detti: vediamo quanta roba insieme riusciamo a mettere in forno senza bruciare tutto, o meglio quante combinazioni (di suoni, di generi, di ritmi) possono uscire da una slot senza vincere un bel niente... e a mio avviso ci sono riusciti.

Forse non sarà il miglior modo di fare jazz in questo schizzatissimo terzo millennio, ma in tal caso agli Jaga potremo recriminare tutto, tranne il fatto di NON averci provato alla grande!

For Fanz Only - con zucchero filato alla mano - gli altri comincino da "The Stix".   

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